- Pubblicazione il 23 Gennaio 2013
Commento di Gennaro D’Amato
Direttore Unità Operativa Complessa di Malattie Respiratorie ad Indirizzo Allergologico. Dipartimento di Malattie Respiratorie. Azienda Ospedaliera ad Alta Specialità di Rilievo Nazionale A. Cardarelli Napoli.
La problematica relativa agli effetti patologici sulle vie aeree degli agenti dell’inquinamento atmosferico è assurta negli anni recenti ad argomento di primaria importanza nell’ambito pneumologico.
Esiste infatti attualmente una mole davvero imponente di studi in campo medico epidemiologico, laboratoristico e clinico relativamente agli effetti patologici dell’inquinamento ambientale sull’apparato respiratorio non solo di adulti ma anche di bambini, i quali sempre più frequentemente presentano manifestazioni cliniche respiratorie “ambiente-correlate” quali mucositi, tosse e dispnea di varia entità e frequenza.
E’ noto d’altra parte che la tendenza all’urbanizzazione degli ultimi decenni, i processi di industrializzazione ed il notevole aumento delle emissioni di gas di scarico prodotti dal trasporto privato e pubblico, con le conseguenti variazioni della biosfera per l’immissione di notevoli quantità di agenti inquinanti, hanno determinato consistenti modificazioni ambientali, alterando in maniera progressiva e profonda l’aria che respiriamo.
Il traffico automobilistico, con le sue emissioni gassose (biossido di azoto ed ozono che da esso deriva) e particolate (polveri inalabili) costituisce attualmente il maggior contributo all’inquinamento atmosferico delle città e c’è evidenza che il vivere in prossimità di strade con alto livello di traffico automobilistico favorisca l’insorgenza di patologie respiratorie e l’aggravamento di patologie preesistenti, prevalentemente ostruttive.
D’altra parte le emissioni notevoli, prevalentemente industriali ma anche di derivazione dal traffico, di gas serra, quale in particolare l’anidride carbonica, hanno un ruolo importante nell’indurre quelle variazioni climatiche caratterizzate, tra l’altro, da più frequenti eventi estremi (ondate di calore, temporali, uragani ed alluvioni), che comportano effetti dannosi a vari livelli della vita biologica e quindi anche dell’uomo, in cui il coinvolgimento non è limitato solo all’apparato respiratorio ma è esteso anche a quello cardiovascolare. A tal proposito è importante tener presente che occorrono decenni per ridurre le concentrazioni di CO2 notevolmente aumentate nella nostra atmosfera negli ultimi anni. Ciò significa che prima si comincia a tentare di ridurre la produzione e la liberazione di questo gas e meglio è, sia per noi ma soprattutto per i nostri figli e nipoti.
Per quanto riguarda poi l’inquinamento “Indoor” il tipo di vita moderno, che ci porta a vivere soprattutto all’interno di ambienti confinati e spesso ermeticamente chiusi, come le abitazioni ed i luoghi di lavoro e di svago e dove purtroppo sono ancora troppo spesso presenti il fumo di tabacco ed altri agenti inquinanti ed allergeni, completa in modo non esaltante quello che viene definito lo “stile di vita occidentale”.
Il danneggiamento delle vie aeree quale conseguenza dell’esposizione e dell’inalazione di agenti inquinanti dipende dal tipo di aerocontaminante in causa e dalla quantità che ne viene inalata. Quest’ultima è data dal prodotto della concentrazione dell’aerocontaminante stesso per il tempo di esposizione e per il volume di aria ventilato. Ovviamente ha anche importanza il substrato su cui l’agente inquinante va ad agire e, se le vie aeree del soggetto che inala presentano iperreattività o altra patologia respiratoria come asma o broncopneumopatia cronica ostruttiva, gli effetti clinici saranno maggiormente evidenti.
Ci sono comunque sempre più evidenze che l’inquinamento atmosferico costituisca un fattore non solo di aggravamento delle patologie preesistenti ma che favorisca l’espressione fenotipica di patologie, quali quelle ostruttive asmatiche, caratterizzate da un substrato di iperreattività. In altri termini senza lo stimolo inalatorio degli inquinanti ambientali una quota parte di queste patologie con i loro sintomi tussigeni e dispnoici non si esprimerebbe clinicamente.
Va da sé che senza adeguate misure come la limitazione del traffico privato nelle città, il potenziamento del trasporto pubblico e l’espansione del verde pubblico, ottenibile piantando soprattutto alberi non allergenici nei contesti urbani, non si ridurrà l’inquinamento delle città. In questo contesto lo pneumologo può svolgere un ruolo importante anche sociale nella sensibilizzazione educazionale alla prevenzione ambientale. Lo pneumologo ha infatti l’obbligo morale di far presente questa problematica non solo ai pazienti che già soffrono di patologie ambiente-correlate ma anche a chi corre rischi di insorgenza perché vive in contesti inquinati ed a chi ha compiti di governo. Ciò significa che dovrebbero essere curati dallo pneumologo anche gli aspetti educazionali e preventivi che richiedono una profonda conoscenza della problematica per poterla esporre in modo adeguato.
Questa monografia, frutto dell’impegno di diversi specialisti esperti delle varie problematiche connesse con l’inquinamento atmosferico, focalizza in modo ottimale e completo i vari aspetti relativi all’inquinamento atmosferico da sostanze chimiche e da allergeni sia negli ambienti esterni che interni, nonché l’interazione degli inquinanti con l’organismo umano e l’azione patologica degli stessi.
LA NOTIZIA
Gli effetti degli inquinanti sulla salute umana sono stati evidenziati dall'OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha diffuso le sue linee guida in materia, con i valori raccomandati per le principali sostanze. Ecco una panoramica delle problematiche rilevate dalle Associazioni di medici riunite nella Health and Environment Alliance (HEAL), con un raffronto fra gli standard consigliati dall'OMS e quelli attualmente in vigore nell'UE:
- Particolato: nell'UE l'aspettativa di vita media e' inferiore di 8,6 mesi a causa all'esposizione alle microparticelle di particolato 2,5 (Pm 2,5). Il particolato può contribuire a provocare: tosse, carenza di fiato, asma, bronchiti croniche, danni ai polmoni, morti premature, rischi di disturbi cardiovascolari e respiratori, rischio di mortalità per i bambini, rischio di cancro ai polmoni negli adulti. La media annuale massima di concentrazione di Pm 2,5 suggerita dall'OMS è di 10 microgrammi per metro cubo, contro il limite di 25 microgrammi previsti nel 2015 dall'UE. Per il Pm 10 il limite previsto dall'UE è di una media annuale di 40 microgrammi per metro cubo e di 50 microgrammi per metro cubo come media giornaliera, con un massimo di 35 sforamenti l'anno. L'OMS raccomanda un tetto di una media annuale di 20 microgrammi per metro cubo e di 50 microgrammi al giorno.
- NO2: il diossido di azoto può generare: infiammazioni delle vie aeree, crescita ridotta delle funzioni polmonari, sintomi di bronchiti in bimbi asmatici, più suscettibilità rispetto alle infezioni respiratorie, alterazioni e danni ai polmoni. Il livello massimo suggerito dall'OMS della concentrazione media annuale è di 40 microgrammi per metro cubo e di 200 microgrammi per metro cubo in un'ora, gli stessi valori previsti dalle regole UE, con un massimo di 18 sforamenti l'anno per il tetto medio orario.
- SO2: il biossido di zolfo può provocare: danni ai polmoni, irritazione degli occhi, infiammazione delle vie respiratorie, aggravare asma e bronchiti croniche, facilitare infezioni alle vie respiratorie. I limiti suggeriti dall'OMS sono 20 microgrammi per metro cubo in 24 ore e 500 microgrammi su una media di dieci minuti, contro i tetti UE di 125 microgrammi per 24 ore con un massimo di 3 sforamenti l'anno e 350 microgrammi in un'ora con un massimo di 24 sforamenti l'anno.
- OZONO: può causare: problemi respiratori, riduzione delle funzioni polmonari e malattie ai polmoni. Il limite suggerito dall'OMS e' di 100 microgrammi per metro cubo in una media di otto ore, contro il tetto UE di 120 microgrammi su otto ore con un massimo di 25 giorni di sforamenti in tre anni.
La Redazione AIPONET