- Pubblicazione il 19 Marzo 2025
Nel numero 4|2024 di Rassegna di Patologia dell’Apparato Respiratorio troviamo diversi spunti di approfondimento interessanti.
Innanzitutto, è presente l’articolo “L’intelligenza artificiale in sintesi con attenzione ad alcune applicazioni in medicina: perché i medici devono iniziare a capire e a pensarci”, a firma di Francesco Salton, e coll., in cui si prende in esame come l’IA possa impattare sulla medicina, rivestendo un enorme potenziale in ambito diagnostico-terapeutico. Attraverso l’analisi di enormi quantità di dati clinici e genetici, infatti, la IA può aiutare ad effettuare diagnosi di precisione e a individuare trattamenti su misura per i singoli pazienti, migliorando l’efficacia delle terapie e riducendone gli effetti collaterali. Inoltre, la capacità dell’IA di apprendere e migliorarsi continuamente implica un’incrementata capacità di accumulare conoscenza in campo medico. Tuttavia, mentre la tecnologia continua a evolversi, è essenziale affrontare anche le sfide etiche e regolatorie associate all’uso dell’IA in medicina, garantendo che i benefici siano equamente distribuiti e che la sicurezza dei pazienti rimanga una priorità assoluta.
È infatti imprescindibile ricordare – sostengono gli autori - come ciò che chiamiamo “intelligenza artificiale” abbia un’essenza matematico-informatica che si avvale delle capacità di calcolo intensivo proprie dei sistemi informatici, ma necessiti - per fornire risposte affidabili - sia delle competenze dei programmatori che di dati di elevata qualità. Da ciò si deduce che il termine IA, per quanto accattivante, può essere anche fuorviante.
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A seguire è presente l’articolo “La tracheotomia nel paziente pneumologico” di Laura Rossi e coll., che dopo un opportuno distinguo tra tracheotomia e tracheostomia, evidenziano i vantaggi della tracheotomia nei pazienti in ventilazione meccanica, tra cui la riduzione della sedazione, un più facile accesso alle vie aeree e la possibilità di alimentazione orale. Gli autori sottolineano inoltre come la procedura sia “indicata in casi di ostruzione delle vie aeree, difficoltà nel weaning dalla ventilazione tramite tubo endotracheale o per proteggere le vie aeree durante interventi chirurgici”.
La tecnica chirurgica prevede un’incisione diretta del piano cutaneo e muscolare tra il secondo e il quarto anello tracheale, mentre la tecnica percutanea prevede una dilatazione degli stessi piani, tramite piccola incisione che può essere eseguita con diverse metodiche. La tecnica percutanea è considerata più rapida e in generale con minori complicanze, anche se la tecnica chirurgica rimane mandatoria in alcuni casi specifici. Gli autori evidenziano anche il fatto che pur offrendo considerevoli vantaggi, la tracheotomia non sia scevra da complicanze, precoci e tardive, e descrivono le indicazioni, le tecniche e la gestione delle complicanze legate alla procedura con l’intento di fornire una panoramica sul tema delle vie aeree artificiali, in cui lo pneumologo interventista gioca un ruolo fondamentale.
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Sempre in questo fascicolo si trova l’articolo “Impatto clinico e gestione della sonnolenza nei pazienti affetti da OSAS” di Francesco Tavalazzi e Gabriele Corsi, che parte da un presupposto importante: l’eccessiva sonnolenza diurna (EDS) è sì un sintomo cardine, ma non esclusivo e sempre costante, della sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS). Sembrerebbe piuttosto rappresentare un fattore prognostico indipendente di morbilità e mortalità, soprattutto cardiovascolare. L’identificazione di una EDS residua (rEDS) in pazienti OSAS in trattamento con CPAP, secondo gli autori, deve escludere una serie di fattori che rendono inefficace o non adeguatamente utilizzato il trattamento, l’uso di farmaci e la presenza di condizioni mediche che possono causare sonnolenza. Tavalazzi e Corsi sottolineano come sia possibile un trattamento farmacologico della rEDS, soprattutto nei pazienti con alterazione della qualità di vita o storia di incidenti stradali e/o near-miss legati a EDS, e il fatto che i due principi attivi approvati in Europa e in Italia siano il solriamfetolo e il pitolisant.
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Da segnalare, sempre in questo numero della rivista, il lavoro “Broncoscopia rigida terapeutica nelle occlusioni maligne delle vie aeree: un trattamento solo palliativo?” di Alessandro Marchioni e coll., che sottolineano innanzitutto come il timing ottimale dall’introduzione della broncoscopia rigida applicata al trattamento della occlusione delle vie aeree centrali (CAO) di origine maligna rimanga materia di dibattito, come anche il suo impatto sulla prognosi. Una quota significativa dei pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), da altre neoplasie toraciche o metastatiche, sperimenta infatti complicanze dovute a CAO, ma la maggior parte delle occlusioni viene diagnosticata quando la sintomatologia è significativa e necessita di un trattamento urgente. Il parere degli esperti suggerisce di trattare le CAO maligne solo in presenza di sintomi significativi, con lo scopo di alleviare la dispnea. Secondo gli autori, però, questo approccio “palliativista” potrebbe non costituire la strategia ideale, per motivi clinici e fisiologici. I pazienti con CAO tracheale, infatti, secondo gli autori possono lamentare dispnea da sforzo quando il lume è ridotto a circa 8 mm, prima della comparsa di distress respiratorio: dati, questi, che inducono a riflettere sul timing e sull’indicazione dell’intervento di ricanalizzazione, che potrebbe avere un ruolo non solamente palliativo.
Secondo l’articolo, l’impatto della broncoscopia terapeutica sulla prognosi dei pazienti con NSCLC complicata da CAO non è chiaramente definito per mancanza di evidenze scientifiche solide, e il successo tecnico porta ad un miglioramento della qualità di vita in solo una parte dei casi, mentre esiste un vantaggio di sopravvivenza significativo in alcune sottopopolazioni di pazienti. Nei pazienti con ACC tracheale non operabili si è dimostrato infatti che la broncoscopia terapeutica integrata alla radioterapia gioca un ruolo essenziale nel migliorare sostanzialmente la prognosi. Gli autori concludono che in pazienti selezionati, un trattamento endoscopico precoce potrebbe essere auspicabile, ma che sono necessari ulteriori studi prospettici per stabilire se, nei pazienti affetti da CAO, l’approccio interventistico precoce sia preferibile all’approccio palliativo.
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