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Da "The Lancet" un quadro disastroso della Sanità italiana

Frammentazione, disparità tra Regioni diverse, incomunicabilità dei dati relativi ai pazienti tra strutture sanitarie differenti, inevitabile migrazione sanitaria. E ancora: costi esorbitanti, ricerca sanitaria in crisi, sanità digitale al palo, e la legge sull’autonomia differenziata che renderà la situazione ancora più problematica. Il tutto, sullo sfondo di una popolazione italiana che “diminuirà di circa l'8% entro il 2050, passando dai 59 milioni del 2022 a 54,4 milioni, a causa dell'invecchiamento e del calo del tasso di natalità. Entro il 2050, oltre il 35% degli italiani avrà più di 65 anni, mentre i bambini di età inferiore ai 14 anni rappresenteranno solo l'11,7% della popolazione!”. Un quadro che “in assenza di riforme, metterà a dura prova i sistemi sanitari e sociali”.
Cose risapute? Certo. Ma la novità è un’altra: e sta nel fatto che il j’accuse (e il virgolettato di cui sopra) viene questa volta da The Lancet, rivista internazionale di medicina, che nel fascicolo di gennaio 2025 dedica un editoriale – con tanto di tricolore su sfondo nuvoloso – alla situazione non certo rosea della Sanità italiana.
I danni della frammentazione
“Una delle principali debolezze del sistema sanitario in Italia è la frammentarietà dell'infrastruttura dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche (EHR), dei dati ospedalieri e di quelli provenienti dai medici di base – si legge - La causa principale è l'ampia autonomia regionale, con 20 Regioni che operano in modo indipendente e implementano politiche e tecnologie diverse, creando frammentazione normativa e inefficienze. A ciò si aggiunge l'assenza di una politica nazionale per allocare le risorse in modo equo a tutte le Regioni o per stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati. Molti ospedali e strutture continuano a fare affidamento a sistemi obsoleti e incompatibili, rendendo il trasferimento delle cartelle cliniche e delle immagini diagnostiche manuale e ad alta intensità di manodopera, anche all'interno della stessa Regione o città. L'assenza di standardizzazione impedisce la creazione di registri nazionali, ostacolando l'efficacia delle cure e la gestione delle crisi”.
Detto questo, ecco le conseguenze, già avvertite in fase-COVID (quando la situazione “ha ritardato l'identificazione dei legami tra comorbilità e gravità dell'infezione, esacerbando le disparità regionali in termini di capacità e risultati dell'assistenza sanitaria” attacca The Lancet) ma presenti tuttora: “Un sistema così frammentato non solo delude la popolazione italiana, ma impone anche un considerevole onere economico per il Paese. I pazienti delle Regioni meridionali, che sono tipicamente più limitate nelle risorse, si recano negli ospedali settentrionali più attrezzati per essere curati. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del Nord spesso non riescono ad accedere alle informazioni sui pazienti, con il risultato di ripetere gli esami diagnostici e ritardi nelle cure. Questa duplicazione fa lievitare i costi. La mobilità sanitaria interregionale rappresenta da sola circa 3,3 miliardi di euro l'anno e compromette i risultati dei pazienti”.
Le conseguenze sulla ricerca
Ed eccoci ai danni che la frammentazione regionale italiana causa al comparto della ricerca: “La frammentazione del sistema di dati sanitari in Italia presenta anche notevoli sfide per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono rivolgersi ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni, che possono negare le richieste. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, segnando un calo significativo. Inoltre, la raccolta dei dati è spesso manuale e di scarsa qualità, rendendo quasi impossibile la realizzazione di studi multicentrici di alta qualità, ostacolando gravemente la generazione di risultati impattanti e generalizzabili”.
Quanto alla sanità digitale, secondo la rivista le cose non vanno meglio: “Nel 2022, l'Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per la sanità digitale, con un aumento del 7% rispetto all'anno precedente. Tuttavia, non è ancora chiaro se questi fondi siano stati pienamente impiegati e come siano stati spesi, in particolare per quanto riguarda i sistemi di EHR e l'integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionali, dal momento che solo il 42% delle cliniche ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione elettronica dei dati attivo in tutti i reparti”.
A margine, l’editoriale cita anche le difficoltà che stanno interessando il Fascicolo sanitario elettronico: “La sfiducia dell'opinione pubblica nel governo aggrava il problema, con oltre 90.000 italiani che si rifiutano di condividere i propri dati sanitari a causa di problemi di privacy, un sentimento amplificato durante la pandemia COVID-19 – si legge ancora - Mentre l’Europa ha abbracciato la cosiddetta base giuridica del legittimo interesse, che consente di utilizzare i dati sanitari per la ricerca e l'innovazione senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale, in Italia la legislazione restrittiva e la frammentazione regionale ostacolano questi sforzi, non riuscendo a bilanciare i diritti alla privacy con l'interesse pubblico a migliorare l'assistenza sanitaria”.
La minaccia dell’autonomia differenziata
Ed ecco la spada di Damocle che secondo The Lancet rischia di peggiorare ulteriormente le cose: la nuova normativa sull’autonomia differenziata: “Una recente proposta di riforma minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. La legge sull'autonomia differenziata, se approvata, decentralizzerà ulteriormente la governance dell'assistenza sanitaria, la frammentazione e le disparità tra le Regioni, anziché favorire l'armonizzazione dei dati – mette nero su bianco l’editoriale - L'armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per creare una rete di dati sanitari unificata in Italia. Questo approccio favorirà l'interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, sfruttando allo stesso tempo iniziative europee come il Data Governance Act, che promuove la condivisione sicura ed etica dei dati, lo Spazio europeo dei dati sanitari, che mira all’assistenza sanitaria transfrontaliera e promuovere la ricerca, e l'AI Act, che mira a regolamentare l'intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell'assistenza sanitaria. Se non si agisce, si aggravano le disuguaglianze, si ritardano i trattamenti e si ostacola il progresso, mentre dare priorità alla riforma sistemica offre all'Italia l'opportunità di soddisfare le richieste di assistenza sanitaria e di fornire cure eque ed efficienti”.

Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS