- Pubblicazione il 09 Luglio 2024
A che punto è la Medicina di Genere in Italia? E quali sono le ultime novità sul fronte di una delle nuove frontiere della Medicina, anche – ma non soltanto – nel campo delle patologie respiratorie? Se quersto filone di ricerca promette grandi cambiamenti sul fronte di prevenzione, diagnosi, cura e aspetti epidemiologici di molte patologie, un aiuto per fare il punto sul tema viene dal Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che in collaborazione con il Gruppo Italiano Salute e Genere (GISeG) e il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere, ha appena pubblicato una Newsletter dedicata appunto alla “Medicina di genere”, mettendo a fuoco le novità più importanti sul territorio nazionale.
AIPO-ITS/ETS è del resto attenta da sempre a questo tema, e insieme a SIP/IRS (Società Italiana di Pneumologia) ha organizzato il 7 e 8 giugno scorsi a Bologna, il Convegno Nazionale “La Medicina di Genere in Pneumologia. Focus-On”, che ha segnato un importante punto di svolta per declinare la materia sul fronte delle patologie respiratorie.
Inoltre, dal 3 al 5 ottobre prossimi, a Padova, si terrà il 5° Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere, organizzato dal Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere e dall’Azienda Ospedale Università di Padova, dove si parlerà tra l’altro anche di malattie dell'apparato respiratorio.
Ma torniamo al documento congiunto di cui sopra. Che in apertura contiene un editoriale sul ruolo della FISM (Federazione delle Società Medico-Scientifiche Italiane) nello sviluppo della Medicina di genere come importante passo avanti verso una medicina personalizzata: “Golder et al. in una recente review hanno rilevato che l’interrogazione di big data per identificare le disparità di salute specifiche per sesso tramite tecniche di apprendimento automatico o di programmazione neuro linguistica (PNL) mostra ancora un pregiudizio nella ricerca sanitaria” vi si legge. Ancora: “Interrogando importanti database ed utilizzando sinonimi e termini di indicizzazione quali ‘donne’, ‘uomini’ o ‘sesso’; ‘big data’, ‘intelligenza artificiale’ o ‘PNL’; e ‘disparità’ o ‘differenze’, solo 22 studi su 902 record hanno soddisfatto i criteri di inclusione – prosegue il Presidente FISM Loreto Gesualdo - I risultati dimostrano che l’inclusione per sesso è incoerente e spesso non segnalata, sebbene l’inclusione delle donne in questi studi sia sproporzionatamente inferiore rispetto al numero degli uomini. Anche se l’intelligenza artificiale e le tecniche di PNL sono ampiamente applicate nella ricerca sanitaria, pochi studi utilizzano questi strumenti per analizzare il testo non strutturato per evidenziare le differenze o disparità legate al genere. Inoltre, per massimizzare l'efficacia di questo approccio, è fondamentale integrare i dati clinici con i cosiddetti ‘Determinanti della salute’, che includono una vasta gamma di fattori, come condizioni socio-economiche, ambientali e comportamentali”
A Laura Zannini, dell’Istituto di Genetica Molecolare Luigi Luca Cavalli-Sforza del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pavia, invece, spetta il compito di illustrare il focus scientifico dedicato agli effetti del cromosoma Y nella fisiologia e nella salute maschile: “Negli ultimi anni è inaspettatamente emerso che con l’avanzare dell’età gli uomini tendono a perdere il cromosoma Y, soprattutto a livello delle cellule del sangue periferico, ma anche in alcune cellule di altri tessuti adulti, e che questa perdita aumenta la predisposizione allo sviluppo di varie patologie, tra cui malattie cardiovascolari, Alzheimer, diabete e cancro – si legge nel suo contributo -…Per analizzare nel dettaglio questo fenomeno, è stata generata nel nostro laboratorio, presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia, una linea cellulare umana maschile privata del cromosoma Y mediante tecnologie di editing genomico e l’espressione dei geni è stata poi analizzata attraverso il sequenziamento dell’RNA messaggero. I risultati hanno dimostrato che la perdita dell’Y influenza la trascrizione genica e va ad alterare processi biologici coinvolti soprattutto nella formazione di tumori, come la regolazione della migrazione e della crescita cellulare, la risposta ai danni al DNA e la risposta immunitaria. Oltre a ciò, anche i processi implicati nello sviluppo del tessuto nervoso vengono fortemente alterati dalla perdita del cromosoma Y supportando un suo possibile ruolo anche nel dimorfismo sessuale che caratterizza alcune patologie neurologiche”.
Marialucia Bursi, in collaborazione con Caterina Trevisan (entrambe in forze all’Unità di Geriatria ed Ortogeriatria dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara; Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Ferrara), si occupano invece del focus clinico sull’influenza dei fattori sesso e genere-specifici nell’invecchiamento: “Studi recenti hanno evidenziato che, in età avanzata, le donne presentano mediamente un maggior livello di fragilità rispetto agli uomini, introducendo il sex-frailty paradox: le donne sono più fragili, ma conservano comunque una maggiore sopravvivenza. Il sex-frailty paradox è supportato da determinanti sia biologici sesso-specifici, che comportamentali e sociali genere-specifici” si legge nell’articolo. Che conclude: “Complessivamente, quanto esposto nei paragrafi precedenti sottolinea quindi come sia necessario considerare le differenze di sesso e genere per definire piani di prevenzione e cura personalizzati che favoriscano un invecchiamento attivo”.
E se l’Osservatorio sulla Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si produce sui risultati di un’ “Indagine sul fattore sesso-genere nella pratica quotidiana dei Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità”, particolarmente interessante è il lavoro intitolato “Differenze fra i sessi nella risposta anticorpale al vaccino COVID-19 negli operatori sanitari”, che ha prodotto risultati misurabili: “I dati suggeriscono che l’età e il sesso influenzano significativamente la risposta anti-S/RBD in seguito a vaccinazione con due dosi di vaccino COVID-19: il personale sanitario più giovane e di sesso femminile genera una risposta anticorpale più robusta contro la proteina spike di SARS-CoV-2 rispetto a quella del sesso maschile e degli operatori sanitari di età più avanzata. I nostri risultati, inoltre, hanno evidenziato un’interessante associazione positiva tra i livelli plasmatici di testosterone ed i livelli di anti-S/RBD negli operatori sanitari di sesso maschile; ciò suggerisce un effetto stimolante del testosterone sulla risposta anticorpale alla vaccinazione COVID-19, ed un possibile ruolo di questo ormone come marcatore di risposta vaccinale nel sesso maschile” si legge nelle conclusioni del lavoro.
Tra le altre novità, quella relativa alla prevenzione al femminile delle malattie cardiovascolari con la campagna “Cuore di donna in farmacia”, ideata da Cittadinanzattiva per supportare la consapevolezza femminile del rischio cardiovascolare e realizzata attraverso le farmacie di Federfarma: 1.940 donne, nell’arco di 3 settimane, hanno preso parte all’iniziativa, 1.510 delle quali hanno svolto lo screening completo, scoprendo a volte alterazioni del tutto inattese nonostante l’appartenenza al sottoinsieme definito a “nessun rischio” (pari al 5,4% del campione).
Sempre le donne detengono il primato delle ospedalizzazioni: i dati SDO (il Report annuale del Ministero della Salute che fotografa l'attività di ricovero e cura degli ospedali italiani pubblici e privati) relativi al 2021 indicano infatti un tasso di ricoveri pari a “85,23 per 1.000 nei maschi, e di 87,50 per 1.000 nelle femmine riguardo al ricovero ordinario, e del 23,76 per 1.000 nei maschi contro il 25,60 per 1.000 nelle femmine per il ricovero diurno – si legge nel Rapporto - E anche considerando le attività di riabilitazione in regime ordinario, si osserva un tasso leggermente maggiore nelle femmine (4,13 femmine vs 3,90 maschi per 1.000). Al contrario, si osserva un tasso maggiore nel genere maschile relativamente alle attività di riabilitazione in regime diurno (0,45 maschi vs 0,31 femmine per 1.000). Infine, considerando la lungodegenza, le femmine presentano un tasso maggiore (1,24 femmine vs 0,98 maschi per 1.000).
Infine, Susanna Chiocca, del Dipartimento di Oncologia Sperimentale IEO (Istituto Europeo di Oncologia IRCCS di Milano, propone un contributo intitolato “Studi clinici sul tumore della testa e del collo nel ClinicalTrial.gov: inclusione del sesso e del genere”. Da cui si scopre, innanzitutto, che “Questi tumori hanno un’incidenza che differisce significativamente tra maschi e femmine, con un rapporto pari a 3:1”. Di più: “Ad oggi alcuni studi suggeriscono che le donne con tumori HPV-positivi abbiano lo stesso tasso di sopravvivenza degli uomini, a differenza di quanto accade per i tumori HPV-negativi, dove le donne sembrano avere una prognosi peggiore” si legge. Poi, un dato allarmante: “Indipendentemente dalla positività all’HPV, le donne con tumori testa-collo vengono trattate meno frequentemente seguendo le linee guida e ricevono trattamenti più leggeri rispetto agli uomini. Questa differenza può essere spiegata, da un lato, con una maggiore presenza di co-morbidità nelle donne e, dall’altro, in linea con quanto osservato in altre tipologie di tumore, con il persistere di un bias di genere in medicina”.
Anche sul fronte delle malattie dermatologiche, del resto, il genere conta: “Studi recenti evidenziano che le donne, pur avendo una gravità simile della malattia cutanea rispetto agli uomini, avvertono un maggiore carico di distress. Pertanto, per una corretta gestione clinica, appare fondamentale valutare attentamente i sintomi psicopatologici e la qualità della vita dei pazienti, con particolare attenzione alle differenze di genere” si legge nell’articolo a firma di Tonia Samela, Responsabile della Linea di Ricerca per la Medicina di Genere dell’Istituto Dermopatico dell'Immacolata (IDI) –IRCCS di Roma, e Damiano Abeni, Responsabile del Laboratorio di Epidemiologia dello stesso Istituto. I due clinici riportano i risultati di uno studio condotto dal gruppo di ricerca di Epidemiologia Clinica IDI-IRCCS su 292 pazienti ricoverati in regime di day-hospital affetti da malattie della pelle di carattere infiammatorio: “I risultati hanno confermato l’esistenza di una differenza significativa nei punteggi medi di distress psicologico tra i generi (0.88, per le donne vs.0.56 per gli uomini; p < 0.001), con punteggi più elevati riportati dalle donne, soprattutto in alcune aree sintomatiche come l’ostilità (p = 0.032), la sensibilità interpersonale (p = 0.003), i tratti ossessivo-compulsivi (p = 0.004), la depressione (p < 0.001), l’ansia (p < 0.001), i sintomi di somatizzazione (p < 0.001) – si legge - Queste comorbidità psicologiche possono influenzare la salute mentale dei pazienti causando spesso sofferenza, isolamento e una minore adesione alle terapie dermatologiche”.
Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS