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“Il cambiamento climatico è qui e uccide”: Europa in crisi nel Report del Lancet Countdown 2024

Più morti per caldo (e a morire sono soprattutto le donne), minore disponibilità di manodopera a causa del clima, PIL pro-capite in discesa, ondate di calore, incendi e siccità. Ancora: insicurezza alimentare legata ai fenomeni meteorologici estremi, gruppi fragili a rischio, aumento incondizionato di patologie infettive che prosperano con l'aumento delle temperature: leishmaniosi, West-Nile, dengue, malaria, zecche e vibrioni. E a coronare il tutto, una totale inadeguatezza delle azioni sul clima sia sul fronte politico che su quello comunicativo, mediatico e individuale. Non è un passo dell’Apocalisse, ma la conclusione – assai sintetizzata – del 2024 Europe Report of the Lancet Countdown on health and climate change: unprecedented warming demands unprecedented action (“Rapporto Europa 2024 del Lancet Countdown sulla salute e i cambiamenti climatici: un riscaldamento senza precedenti richiede un’azione senza precedenti”), primo aggiornamento del Rapporto creato nel 2021 e pubblicato nel 2022, che oggi – aggiornato - traccia 42 indicatori in cinque diversi settori, avvalendosi di 69 collaboratori appartenenti a 42 istituzioni accademiche e delle Nazioni Unite. Gli indicatori aggiunti rispetto alla prima edizione sono nove, migliorando contemporaneamente copertura geografica e temporale, rafforzando la metodologia, e includendo (ove possibile) i 53 Paesi della regione europea dell'OMS, più il Liechtenstein e il Kosovo.
Molti, nel Report, i dati interessanti, al netto di qualche banalità (il verde è un co-beneficio, la bicicletta fa bene alla salute) e di un allarme di fondo: “Il cambiamento climatico non è uno scenario teorico lontano nel futuro: è qui e uccide - si legge nel Report – È probabile che gli impatti dei cambiamenti climatici peggiorino all’interno e all’esterno dell’Europa, incidendo sul benessere di miliardi di persone…L’Europa dovrebbe impegnarsi a favore di una transizione ambientale equa e sana, che includa l’assunzione di responsabilità globali e il sostegno alle comunità più colpite”. Il che, sempre stando al Report, non accade affatto. Ma andiamo con ordine. Segnalando anche il webinar sul Report del Lancet Countdown organizzato per giovedì 11 luglio alle 16.00 dall’Associazione Italiana di Epidemiologia (programma qui, iscrizioni qui).
I numeri del cambiamento climatico
In Europa le morti per caldo nel decennio 2013-2022 sono aumentate di 17,2 decessi ogni 100.000 abitanti rispetto al periodo 2003-2012, le ore a rischio per le attività fisiche vanno ormai ben oltre le quattro ore centrali della giornata (nell’Europa orientale l’aumento è del 107%, nell’Europa settentrionale del 382%, in quella occidentale del 101% e nell’Europa meridionale del 94%), e dal 1990 al 2022 la vulnerabilità al calore è aumentata del 9% (passando dal 37,9% al 41,2%) con le punte continentali maggiori in Europa meridionale (11%).
Nel decennio 2012-2021, a causa dei picchi di temperatura registrati, i giorni/persona di esposizione alle ondate di calore sono cresciuti del 97% rispetto al decennio precedente (passando da 650 milioni a 1,28 miliardi), con un aumento numerico delle ondate di calore stesso calcolato nel 41%. Le categorie più esposte? “le persone anziane, quelle affette da patologie croniche preesistenti, le popolazioni urbane, le persone che lavorano all’aperto, le persone socialmente svantaggiate, le donne (incinte), e i neonati”.
In più, nell’ambito dei decessi legati al caldo, l’aumento della mortalità è stato quasi doppio nelle donne (da 67 a 88,4 decessi ogni 100.000 abitanti contro i 55,9 – erano 42,1 – degli uomini) e più diffusa in Spagna (39,9 ogni 100.000 abitanti) con l’Islanda (1,0) fanalino di coda.
In contemporanea, naturalmente, aumentano gli incendi boschivi, la siccità estiva (cresciuta nel decennio 2010-2019 dell’8% nelle forme moderate, del 60% nelle forme gravi e del 48% nelle sue forme estreme rispetto al decennio precedente).
Nuove malattie per un nuovo clima
Il ventaglio di patologie d’importazione (o in amplissima diffusione) in Europa a causa del cambiamento climatico è a dir poco inquietante: vibrioni (batteri gram-negativi – il più noto provoca la salmonellosi – in grado di causare vibriosi attraverso infezioni alimentari, ma non solo: stando al report, infatti, il diffondersi dei vibrioni in Nord Europa è legato soprattutto alla balneazione, con le coste continentali che mostrano un’espansione media di 136 nuovi chilometri idonei alla diffusione dei batteri ogni anno (+51% delle coste in Svezia, +59% nel Mar Baltico).
E c’è molto altro: il West Nile virus, trasmesso dagli uccelli all’uomo attraverso le zanzare, nel decennio 2013-2022 ha totalizzato, rispetto agli anni 1951-60, un incremento del 256% (+516% nell’Europa orientale, +203% nell’Europa meridionale); la dengue, nello stesso lasso temporale, ha fatto registrare un aumento del rischio relativo di insorgenza del 55,94% (col maggior aumento assoluto nell’Europa meridionale: 6,88%), e un aumento dei casi importati pari al 176,8% nel decennio 2009-19 rispetto al periodo 1995-2004. Modelli simili raccontano della diffusione della chikungunya e del virus Zika. La malaria? Eradicata in tutta Europa 50 anni fa, sta tornando: nel 2021 i casi sono stati 4.856 (il 99,7% legato ai viaggi), con un “aumento consistente dell’idoneità alla trasmissione nelle aree non urbane” tra il 1951 e il 2022. Quanto alla leishmaniosi, trasmessa dalle femmine dei mosconi flebotomi, in Europa occidentale raggiunge ormai un numero di casi stimati (a quanto pare sottodimensionando) compreso tra i 10 e i 17.000 per 100.000 abitanti. Infine, le zecche: quelle incriminate sono le ixodes ricinus, in grado di trasmettere encefalite e malattia di Lyme, in grande diffusione ovunque, ma in particolare nelle aree rurali dell’Europa orientale.
E a questo quadro poco edificante si aggiunga l’insicurezza alimentare moderata o grave (causata nel 95% dei casi da ondate di calore e siccità) che nel 2021, in Europa, ha interessato quasi 60 milioni di persone.
Contromisure e danni collaterali in atto
Se questa è la situazione, come reagiscono i singoli Stati, a livello di intervento concreto? Non in modo granché efficiente, sembrerebbe. Perché in base a dati OMS, nel 2021 solo 10 Paesi su 22 (pari al 45%) ha avviato azioni di vulnerabilità e adattamento, ma solo due di questi 10 (il 20% sul 45%) hanno effettivamente sviluppato politiche o programmi sanitari innovativi in base ai dati raccolti. Ma soprattutto, identificati i gruppi di popolazione (cfr. sopra) più esposti agli effetti del cambiamento climatico, il Report sottolinea “l’importanza cruciale di incorporare le considerazioni sulla diseguaglianza nelle strategie per il cambiamento climatico”, dato che questo quasi mai viene fatto. Considerazioni sugli spazi di verde pubblico (che “possono migliorare la salute fornendo spazi per l’attività fisica, riducendo l’inquinamento atmosferico e acustico, riducendo le temperature, aumentando i contatti sociali e alleviando lo stress psicofisiologico”) a parte, ecco le note di costume sull’uso dell’aria condizionata, che “sebbene sia efficace per prevenire le malattie legate al caldo…contribuisce alle emissioni di gas serra, alle interruzioni di corrente, all’inquinamento atmosferico, agli effetti delle isole di calore urbane, ai picchi di domanda di elettricità e alla povertà energetica, che si traducono in sostanziali danni collaterali”. Non basta? Il Report affonda il coltello: “Nel 2021 l’aria condizionata ha fornito il raffreddamento al 16% delle famiglie europee, consumando circa 159 terawattora di elettricità, e producendo 45 megatonnellate (Mt) di emissioni di CO2 – all’incirca come le emissioni di CO2 dell’intera Bulgaria. Quando accendete il condizionatore, pensateci.
Un sistema energetico da migliorare
Eccoci al rapporto tra salute e produzione di energia. Dove il succo del Report è: in Europa, dopo una riduzione dell’8,6% nel 2020, le emissioni da combustibili fossili sono riaumentate del 7,1% nel 2021, raggiungendo i 3,4 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno (5,4 tonnellate pro-capite), sei volte il quantitativo di tutta l’Africa ma – consoliamoci -  2,6 volte meno delle emissioni pro-capite americane.
Nel 2021 è cresciuto anche l’uso del carbone (il 13% dell’approvvigionamento energetico totale contro il 12% dell’anno precedente), e – fortunatamente - delle energie rinnovabili, che però ammontano solo al 22,8% del totale del consumo energetico europeo. Ma c’è una nota positiva non da poco, visto che dal 2005 al 2020 i decessi dovuti all’utilizzo di combustibili fossili sono diminuiti del 59%. E se sul fronte veicolare le auto elettriche rappresentano il 20% del parco automobilistico circolante, le cose non vanno meglio sul fronte delle emissioni legate alla produzione alimentare, ridotte – tra 2010 e 2020 – solo dell’1%, con 2,5 tonnellate di CO2 pro-capite annue prodotte.
Anche il settore sanitario fa comunque i suoi danni, contribuendo nella misura del 4,6% alle emissioni globali di gas a effetto serra, con 3,56 quintali di CO2 pro-capite, e un aumento del 3% (sempre pro-capite) rispetto al 2010.
Cambia il clima, crescono i costi
Anche in termini economico-finanziari, il cambiamento climatico si fa – e si farà - sentire: la conversione del territorio e dei sistemi alimentari verso diete più sostenibili pare costerà, di qui al 2030, 350 miliardi di dollari l’anno, a fronte di guadagni stimati in 5-7.000 miliardi. Mentre solo nel 2022, i danni da eventi metereologici estremi sono stati stimati in 18,7 miliardi di euro, pari allo 0,08 del PIL europeo, e nel periodo 2016-2020 l’offerta di lavoro nei settori ad alta esposizione è calata dell’1,05% rispetto al periodo 1965-94.
Causa caldo, inoltre, in Europa meridionale il PIL pro-capite del 2020 è sceso dello 0,98%, mentre nel decennio 2010-2020 il valore delle diete squilibrate è aumentato del 35%.
In tutto questo, “molti governi europei continuano a sovvenzionare i combustibili fossili”, si legge nel Report, anche se fortunatamente “nel 2022 gli investimenti in energia pulita hanno superato del 261% gli investimenti in combustibili fossili in Europa (404 milioni di euro rispetto a 112 milioni di euro)”, con un aumento del 16% degli investimenti rispetto al 2021, e del 66% rispetto al 2015, mentre nel 2022 “l’efficienza energetica ha rappresentato il 31% di tutti gli investimenti energetici europei”.
La cultura del cambiamento
I cambiamenti del clima influenzano naturalmente anche la cultura sul tema: e se “la letteratura scientifica sulla salute e il clima in Europa si è rapidamente ampliata a partire dai primi anni 2000”, un’analisi dei post individuali pubblicati in rete ha evidenziato come il nesso clima-salute a livello di cultura individuale sia ancora piuttosto basso (0,4% del totale dei post in lingua inglese, 0,5% dei post in lingua non inglese), e ancor meno lo sia la questione in relazione a uguaglianza, equità e giustizia (0,05% del totale dei post pubblicati).
Il Parlamento europeo? Non è da meno (anzi), visto che nel 2022 i discorsi dei legislatori contenevano sì 800 riferimenti al clima e 1400 riferimenti alla salute, ma solo 10 discorsi (lo 0,1%) nominavano, abbinandole, entrambe le problematiche. Diversa la situazione a livello media, dove nel 2022 i post su cambiamento climatico e salute sono stati ben 44.766 (l’8,2% del totale), con l’Ungheria e Malta in pole position nella classifica dell’impegno.
Conclusioni? Maluccio, in qualche caso benino, ma mai benissimo. Un SOS per tutti: “Con l'attuale traiettoria che stima che la neutralità carbonica sarà raggiunta fino al 2100 (mentre il limite per emissioni szero era stato fissato al 2050, ndr.), la strada verso sistemi energetici a zero emissioni nette rimane tristemente inadeguata – conclude il Report - Per essere sulla buona strada e azzerare le emissioni nette entro il 2050, gli investimenti globali in energia pulita dovrebbero quasi triplicare entro il 2030, e gli investimenti nei combustibili fossili dovrebbero ridursi a meno della metà del loro valore attuale. È importante sottolineare che i Paesi europei continuano a esercitare pressioni ambientali e impatti negativi sul clima e sulla salute con il loro consumo di beni e servizi prodotti in altre parti del mondo. Pertanto, è fondamentale che l'Europa acceleri l'azione per il clima, il che richiede la volontà politica e l'impegno di tutti gli attori sociali e una presa di posizione sulle dimensioni sanitarie dei cambiamenti climatici. Tuttavia, c'è poco impegno mediatico, politico e individuale per il clima e la salute, e poca attenzione verso le disuguaglianze associate”.
Il messaggio è fin troppo chiaro. Poi, i politici non dicano che nessuno li aveva avvisati.


Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS