- Pubblicazione il 05 Aprile 2024
Era il fiore all’occhiello dell’Italia della crescita, è diventato la cartina di tornasole dell’Italia della crisi. In sua difesa si leva oggi un appello potente, messo nero su bianco da 14 autorevoli medici e scienziati di diverse discipline, tra cui il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Il malato – grave – è il Servizio Sanitario Nazionale, nato nel 1978 in un Paese dal clima politico, economico e sociale profondamente diverso, ed entrato progressivamente in crisi nell’ultimo quindicennio, con la crescente riduzione degli investimenti pubblici, l’inefficienza montante, le liste d’attesa infinite, la migrazione sanitaria Sud-Nord, la fuga del personale sanitario dal pubblico, e il materializzarsi, all’orizzonte, di un modello sempre più americano “private insurance-based”.
A scendere in campo in difesa del SSN, oggi, è una squadra di scienziati e clinici – oltre a Parisi, il farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri Silvio Garattini, il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, l’epidemiologo Paolo Vineis, il direttore sanitario delle Molinette di Torino Ottavio Davini, l’etologo Enrico Alleva, il direttore de Il Pensiero Scientifico Luca De Fiore, la docente e ricercatrice Paola Di Giulio, l’esperta in economia sanitaria Nerina Dirindin, i ricercatori Francesco Longo, Lucio Luzzatto e Carlo Patrono, l’immunologo Alberto Mantovani e l’oncologo Francesco Perrone. Tutti convinti che “Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico. Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019, il SSN in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito – si legge nel documento - Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali”.
Le cause del problema e le soluzioni possibili
Quali siano le cause del disastro è presto detto: “Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il SSN, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del PIL (meno di vent’anni fa) – scrivono i 14. Precisando che, a onor del vero - Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato”.
Fatti gravi, questi, oltre che in aperto contrasto col dettato costituzionale: “Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’Art. 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello USA, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni) – è scritto nel documento - La spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute”.
Le soluzioni possibili? O meglio, doverose? La partita, ovviamente, si gioca su diversi tavoli: servono soldi; serve ricerca; servono investimenti sul personale sanitario: “È dunque necessario un piano straordinario di finanziamento del SSN e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. L’allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema – ammoniscono i 14 firmatari dell’appello - Ancora, il SSN deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute. Parte delle nuove risorse deve essere impiegata per intervenire in profondità sull’edilizia sanitaria, in un Paese dove due ospedali su tre hanno più di 50 anni, e uno su tre è stato costruito prima del 1940”.
Ed eccoci a medici e infermieri: “Ma il grande patrimonio del SSN è il suo personale: una sofisticata apparecchiatura si installa in un paio d’anni, ma molti di più ne occorrono per disporre di professionisti sanitari competenti, che continuano a formarsi e aggiornarsi lungo tutta la vita lavorativa – scrivono apertis verbis i paladini del SSN - Nell’attuale scenario di crisi del sistema, e di fronte a cittadini/pazienti sempre più insoddisfatti, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile, che si traduce in una fuga dal pubblico soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza. È evidente che le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela, e la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili. Particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea). Da decenni si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi in questa direzione sono timidi. Oggi il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli”.
Altro tasto dolente, e da mettere in bolla, è quello della prevenzione, mai come ora scarsa e poco praticata: “La spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia – si legge ancora nell’appello - Ma ancora più evidente è il divario riguardante la prevenzione primaria; basta un dato: abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi, e questo è legato sia a un cambiamento – preoccupante – delle abitudini alimentari sia alla scarsa propensione degli italiani all’attività fisica. Molto va investito, in modo strategico, nella cultura della prevenzione (individuale e collettiva) e nella consapevolezza delle opportunità ma anche dei limiti della medicina moderna”.
E se il discorso non suonasse abbastanza chiaro, è la chiusa del documento a mettere in guardia sulle possibili conseguenze del disastro imminente: “La vera emergenza è adeguare il finanziamento del SSN agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL) – concludono i 14 - ed è urgente e indispensabile, perché un SSN che funziona non solo tutela la salute, ma contribuisce anche alla coesione sociale”.
Sullo stesso tema il 3 aprile scorso si era prodotto in un editoriale sulla Stampa il Presidente della Fondazione GIMBE Nino Cartabellotta: “Nel 2010 la spesa sanitaria pubblica pro-capite era pari alla media dei Paesi europei, nel 2022 l’Italia ha speso circa 47,3 miliardi di euro in meno. E dal 2010 al 2022 il gap complessivo ha superato la cifra di 300 miliardi di euro” si legge nell’articolo. Che pone a sua volta la politica di fronte a due strade seccamente alternative: salvaguardare il SSN sulla base dei principi fondanti del 1978 - e allora servono “un progressivo rilancio del finanziamento pubblico” e “coraggiose riforme, che ormai latitano da 25 anni” – e la cosiddetta via americana, che contemplerebbe “l’ingresso di capitali provati tramite l’intermediazione assicurativa, e l’uscita dai livelli essenziali di assistenza di un certo numero di prestazioni sanitarie. Ma anche in questo malaugurato scenario non si dovrebbe rinunciare a una governance pubblica, perché la privatizzazione strisciante alimenta enormi diseguaglianze sociali”.
Il messaggio, anche in questo caso, è chiaro. Per evitare disgregazione e diseguaglianze sociali occorre agire subito, e con coraggio, dando spazio a una visione di Paese futuro dove siano le idee, e non solo l’interesse economico, a guidare scelte strategiche e prospettive di sviluppo.
Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS