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Le due Italie della Sanità: al Sud meno cure, meno spesa, meno prevenzione. E minore speranza di vita

Attività di prevenzione e cura di gran lunga più carenti, spesa pubblica in ambito sanitario ampiamente inferiore, maggiore distanza chilometrica da percorrere per accedere alle cure (soprattutto in caso di patologie gravi), una quota di famiglie in povertà sanitaria superiore del 100% rispetto al Nord-Est. E ancora: una minore aspettativa di vita, una presenza meno capillare della prevenzione oncologica, e una mobilità sanitaria che, oltre a crescere esponenzialmente, coinvolge sempre di più la fascia dei pazienti pediatrici. È una fotografia del Sud Italia sconsolante, quella offerta dal Report SVIMEZ “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, pubblicato dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno e presentato nei giorni scorsi a Roma in collaborazione con Save the Children.

Un’Italia divisa in due
Una spaccatura, quella dell’Italia sanitaria, che, come evidenziano gli esperti SVIMEZ, è presente storicamente fin dalla fascia pediatrica, tanto che dagli ultimi dati Istat disponibili emerge una fotografia della mortalità entro i primi 12 mesi di vita che in Toscana era pari a 1,8 decessi ogni 1.000 bambini nati vivi, contro i 3,3 della Sicilia e i 3,9 (più del doppio) della Calabria.
E se a peggiorare le cose ci ha pensato il COVID, il problema di fondo restano gli insufficienti stanziamenti di denaro pubblico per il settore (in Italia la media degli investimenti in Sanità è pari al 6,6% del PIL, contro il 9,4% della Germania e l’8,9% della Francia), mentre il contributo privato resta elevato (24% della spesa sanitaria totale, quasi il doppio di Francia e Germania). Dai dati di spesa sanitaria su base regionale, inoltre, i livelli di spesa risultano inferiori al Sud rispetto al Nord, con una media nazionale di 2.140 euro e la spesa corrente più bassa in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro).
Ancora: stando ai dati del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), le famiglie italiane in povertà sanitaria sono il 6,1% del totale, ma al Sud raggiungono addirittura l’8%, con una percentuale doppia rispetto al Nord-Est (4%), e comunque di gran lunga superiore al 5,9% del Nord-Ovest e al 5% del Centro.

Non è tutto. Perché le cose vanno peggio riguardo all’aspettativa di vita: chi nasce al Sud, infatti, ha una speranza di vita di 81,7 anni: 1,3 anni in meno rispetto al Centro e al Nord-Ovest, e addirittura 1,5 anni in meno rispetto al Nord-Est. E passando al piano di realtà, il tasso di mortalità per tumore degli uomini è pari al 9,6 per 10 mila abitanti, rispetto a circa l’8 del Nord, mentre cresce anche il divario territoriale per le donne (nel 2010 non c’era differenza), arrivato all’ 8,2 al Sud contro il 7 del Nord. Il motivo? Semplice: al Sud si fa meno prevenzione oncologica, e se nel 2021-22 le donne della fascia 50-69 anni che hanno fatto almeno qualche controllo è stata pari all’80% al Nord (il Friuli ha battuto tutti con l’87,8%), al Sud la percentuale crolla al 58%, con uno sconsolante fanalino di coda della Calabria, dove la percentuale ha raggiunto a stento il 42,5%.  Inutile dire che i dati sulle donne partecipanti a screening gratuiti promossi dal SSN precipitano in verticale fino a raggiungere il 20,4% della Campania e l’11,8% della Calabria.
Sul fronte della mobilità sanitaria, ovviamente, le cose non vanno meglio, perché dei 629.000 migranti sanitari contati nel 2022, il 44% proveniva dal Sud, e se nel campo delle patologie oncologiche a spostarsi dal Sud al Nord sono stati 12.401 pazienti (il 22% del totale), solo 811 pazienti (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. Ancora una volta fanalino di coda è la Calabria, dove il 43% dei malati è dovuto andare a curarsi in Regioni non confinanti. E un altro dato preoccupante riguarda le migrazioni sanitarie di età pediatrica, in costante crescita: i dati del 2020 fotografano una media nazionale di migrazione di piccoli pazienti pari all’8,7%, con il Lazio a quota 3,4%, il Molise al 43,4%, la Basilicata al 30,8% e la Calabria al 23,6%.

Cosa fare  
Ovvio che a fronte di una situazione così disomogenea l’autonomia differenziata faccia paura. E se l’aumento della spesa sanitaria sembra la prima (ma non la sola) strada percorribile, gli esperti sottolineano unanimemente la necessità di riformare il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale, in modo da smussare con decisione le disuguaglianze presenti tra le diverse Regioni italiane.
“La necessità di incrementare le risorse destinate alla Sanità convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del SSN. I dati del report offrono una fotografia preoccupante – commenta Luca Bianchi, Direttore generale SVIMEZ - La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi, oltre a implicare forti costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del SSN è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata, dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali e una conseguente ulteriore crescita della mobilità di cura”.

Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS