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Dal Sud al Nord per curarsi: una fuga che vale 4,25 miliardi

Nel 2021 cresce la migrazione sanitaria: un fiume da € 4,25 miliardi scorre verso le regioni del Nord. A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto spetta il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo pesa sul Centro-Sud. E tra le prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità, oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato. “L’autonomia differenziata è uno schiaffo al meridione – commentano alla Fondazione GIMBE, che ha redatto il Report sulla mobilità sanitaria 2021 reso noto il 16 gennaio ed elaborato utilizzando i dati economici aggregati e i flussi trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute - Il Sud sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord”.

Lo studio
Il fenomeno della migrazione sanitaria appare in crescita: se nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha infatti raggiunto il valore di € 4,25 miliardi, solo nel 2020 totalizzava € 3,33 miliardi, con saldi variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla Regione di residenza. Ebbene, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si riscontra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

“La mobilità sanitaria – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una ‘frattura strutturale’ destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute». Il perché, secondo la Fondazione, è chiaro. Il Servizio Sanitario Nazionale attraversa infatti “una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi e/o ad aumentare le imposte regionali, quindi non ci sono risorse da mettere in campo per colmare le diseguaglianze in sanità”. Inoltre “le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale – si legge ancora in una nota di Fondazione GIMBE - Un esempio fra tutti: una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose”.

Riguardo alla composizione delle prestazioni erogate in mobilità, l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e la specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% riguarda la somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).
Fondazione GIMBE sottolinea poi come oltre il 50% della spesa sostenuta per ricoveri e prestazioni specialistiche finisca nelle casse del privato: si parla di € 1.727,5 milioni (54,6%), rispetto a € 1.433,4 milioni (45,4%) delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato € 1.426,2 milioni, mentre quelle pubbliche € 1.132,8 milioni. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di € 301,3 milioni, quello pubblico di € 300,6 milioni. «Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private – spiega ancora Cartabellotta – varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche».

Conclusioni
«Le nostre analisi – conclude ricapitolando il Presidente di Fondazione GIMBE – dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati, insieme a quelli sull’esigibilità dei LEA, confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali. Ecco perché la Fondazione GIMBE, all’avvio della discussione in Senato del DdL Calderoli, ribadisce la richiesta di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Perché, se così non fosse, la conseguenza sarebbe la legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale».