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Covid-19, dopo sei mesi aumentati ricoveri, TAC ed esami al cuore. Intervista al Professor Harari

Chi ha contratto l’infezione da Sars CoV 2 rischia di avere delle ripercussioni anche dopo la negativizzazione del tampone. A sostenerlo è uno studio studio pubblicato sul “Journal of Internal Medicine”, condotto da un gruppo di ricercatori che ha valutato l’impatto, a distanza di tempo, della prima ondata pandemica nella regione più colpita d’Europa, la Lombardia

Ad illustrarci i risultati di questa importante ricerca è Sergio Harari, pneumologo e docente all’Università degli Studi di Milano.

Lo studio

Il lavoro è stato sviluppato da un team di esperti che comprende il Policlinico di Milano, l’università di Milano, la Regione Lombardia, l’Istituto Mario Negri e si è basato sull’analisi dei dati forniti Regione Lombardia. Sono stati presi in considerazione circa 50 mila positivi. I pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi: chi aveva avuto la malattia a domicilio, chi era stato ricoverato in reparti non intensivi e chi invece era ricorso alle cure dei reparti di rianimazione. Sono stati esclusi dall’analisi i pazienti gestiti nelle residenze sociosanitarie per anziani (Rsa). 

“Dei casi analizzati il 43% non aveva fatto ricorso all’ospedale (età media 50 anni), il 54% era stato curato in reparti non intensivi (età media 62 anni) e il 3% era stato assistito in terapia intensiva (età media 59 anni, solo il 13,5% con più di 70 anni)- illustra Sergio Harari- Per quanto riguarda il sesso della popolazione il 64% di chi è riuscito a gestire a casa la malattia era donna, percentuale che scende al 42% tra gli ospedalizzati meno gravi e al 22% tra chi è stato in terapia intensiva, dato che conferma la minor gravità dell’infezione nel genere femminile”.

I risultati: cosa è accaduto a 6 mesi dall'infezione 

“A 6 mesi di distanza dalla malattia il 5,3% dei pazienti che erano stati curati a casa ha avuto bisogno di un nuovo ricovero, il 10,9% di quelli che erano stati ospedalizzati e 16,3% di era stato ricoverato in intensiva. La maggior parte delle nuove ospedalizzazioni sono state determinate da cause cardio-respiratorie, renali e neurologiche. Anche gli accessi ai pronto soccorso sono stati molto più frequenti in chi è stato ricoverato rispetto a chi è rimasto a casa”- spiega lo pneumologo.

L'aumento degli esami diagnostici

“Le visite mediche sono più che raddoppiate rispetto al pre-pandemia, le spirometrie hanno avuto una esplosione, con una moltiplicazione addirittura di 50 volte nelle persone che erano state in intensiva, gli elettrocardiogrammi sono più che quintuplicati nei pazienti che curati nelle rianimazioni e oltre che raddoppiati in quelli ricoverati nei reparti non intensivi- ha precisato il docente dell’università di Milano- Stesso andamento per le Tac del torace, che sono cresciute di 32 volte nei pazienti dimessi dai reparti più critici e di 5,5 volte in quelli ricoverati nei reparti di degenza normale. Anche la necessità di controlli degli esami del sangue è cresciuta moltissimo, in tutti i gruppi, compresi quelli che il Covid l’hanno avuto a casa. Nei sei mesi di osservazione è aumentato poi il consumo di farmaci e nuove terapie, il che significa che il virus ha anche indotto lo sviluppo di nuove malattie, in particolare di natura metabolica, come il diabete (dato che è stato confermato da un importante studio americano appena pubblicato), cardiovascolare, neuropsichiatrica e respiratoria, oltre a aggravare le preesistenti”.

La sindrome post Covid 

La sindrome post Covid è una condizione che richiede cure e attenzioni particolari. Le ragioni sono probabilmente da ricercarsi nello stato di infiammazione cronica indotta dal virus che persiste nel tempo. “Bisogna poi considerare che queste sono le valutazioni effettuate dopo solo sei mesi- sottolinea Harari- non abbiamo ancora idea di cosa possa avvenire più in là nel tempo e neppure se le varianti che sono arrivate successivamente abbiano lo stesso effetto. C’è ancora molto lavoro da fare per scoprire tutti gli effetti del virus ma è già ora di pianificare come correre ai ripari per far fronte anche a queste conseguenze della pandemia”.

Dalla ricerca alla pratica clinica: dalle prime osservazioni anche chi ha contratto una delle varianti probabilmente rischia strascichi minori

“Al momento non ci sono studi che mettono a fuoco le varianti in maniera così precisa- afferma lo pneumologo- però ci stiamo lavorando, sicuramente l’impatto a lungo termine delle varianti sul nostro organismo merita la nostra attenzione e sarà oggetto di prossime valutazioni”.

I campanelli di allarme che devono condurci dal medico

Secondo Harari “in presenza di una sintomatologia di nuova insorgenza è sempre consigliato rivolgersi ad uno specialista, soprattutto dopo un’infezione da Covid. Non ci sono ancora linee guida generali e dati certi ma auspichiamo di averli al più presto”.

Esami di controllo consigliati dopo l'infezione da Covid 19

In conclusione lo pneumologo afferma che “in caso di una passata infezione sintomatica impegnativa e in presenza di una sintomatologia che persiste anche a distanza di tempo potrebbero essere utili una serie di esami di controllo: lastra al torace, esami del sangue, spirometria ed elettrocardiogramma”.

Fonte: https://www.rainews.it/articoli/2022/04/covid-harari-a-6-mesi-dallinfezione-in-aumento-ricoveri-tac-ed-esami-al-cuore-raddoppiati-3e80857a-e7eb-4650-bdd1-9845652aef63.html