- Pubblicazione il 13 Novembre 2017
Lo scorso 27 Ottobre a Napoli, in occasione del convegno dal titolo “Gestione multidisciplinare delle infezioni respiratorie” (GEMIR) organizzato dall’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) si è parlato anche di antibiotico-resistenza, tema quanto mai attuale e di notevole impatto sul piano clinico e terapeutico.
Si tratta di un fenomeno mondiale, non certo solo nazionale ma l’Italia si distingue nettamente dal resto d’Europa per l’uso smodato degli antibiotici.
“E’ diffusa in tutto il mondo una grande preoccupazione circa il fenomeno dell’antibiotico-resistenza” commenta il Professor Ercole Concia, Professore Ordinario di malattie Infettive e parassitarie e Direttore della Clinica di Malattie Infettive presso l'Azienda Ospedaliera di Verona “la diretta conseguenza di questo fenomeno è che molti farmaci che abbiamo usato e che continuiamo a usare non sono più efficaci come un tempo. La loro funzionalità risulta ridotta o addirittura annullata. Un tempo si parlava di batteri multi drug resistant (MDR) ora si parla di batteri pan drug resistant (PDR)”.
Siamo arrivati a questa situazione a causa di un impiego smodato degli antibiotici. Diamo uno sguardo ai numeri: dal 45 al 50% dei pazienti ricoverati in ospedali italiani è sottoposto a terapia antibiotica. E’ impensabile che un 50% dei ricoverati abbia un’infezione. E ancora: nella regione Lazio il 61% dei ricoverati in medicina interna segue una terapia antibiotica.
“Un regime virtuoso prevede un 30% di pazienti ricoverati da trattare con antibiotico” commenta l’esperto.
Il fenomeno non riguarda solo gli antibiotici ma anche altre classi di farmaci come i medicinali per il trattamento di patologie come HIV, tubercolosi, influenza e tanti altri ancora.
“Ad aggravare la situazione vi è anche la posizione delle aziende farmaceutiche” continua Concia. “Le grandi aziende operanti nel mondo del farmaco hanno quasi completamente abbandonato la ricerca su nuovi antibiotici. Non dimentichiamoci infatti che la terapia antibiotica è una terapia di durata limitata agli 8-10 giorni. Meglio spostare l’interesse su farmaci destinati al trattamento di patologie croniche che quindi necessitano di molecole che devono essere assunte perlopiù ogni giorno. Lo scenario in cui ci troviamo a lavorare è caratterizzato da batteri sempre più forti che noi medici dobbiamo contrastare con armi sempre meno efficaci.”
Anche l’Italia finalmente si è dotata di un piano di prevenzione dell’antibiotico resistenza i cui obiettivi primari sono una riduzione del 10% dell’uso degli antibiotici in ambito territoriale e una riduzione del 5% in ambito ospedaliero.
“Il piano di prevenzione non deve però coinvolgere solo i medici che lavorano in ospedale ma deve prevedere uno sforzo sinergico messo in atto da più attori: medici di medicina generale, specialisti, infermieri e sanitari che lavorano negli ospedali delle lungodegenze per anziani. Non dimentichiamo infatti che in Italia vi sono 12 mila strutture destinate alla lungodegenza per anziani, con 400mila pazienti spesso sottoposti a terapia antibiotica” continua Ercole Concia.
“Un secondo punto importante riguarda il lavaggio delle mani: in ospedale queste infezioni si trasmettono attraverso il contatto con mani non sterili. Il nostro paese, da questo punto di vista rappresenta la maglia nera d’Europa. Si dovrebbero fare progetti adeguati che prevedano tamponi di sorveglianza per i pazienti che entrano in ospedale che,in caso di positività per germi multiresistenti ,dovrebbero essere isolati per evitare rischi di contagio intraospedaliero.”
“L’antibiotico resistenza può essere contrastata con uno sforzo congiunto da parte di Medici del territorio, medici ospedalieri, medici delle lungodegenze e infermieri. Non solo prescrivere meno antibiotici ma realizzare quello che viene definito un piano di controllo dell’infezione in ambito ospedaliero: lavarsi le mani, isolare il paziente infetto, applicare tutta una serie di procedure note ma spesso non messe in atto” conclude Ercole Concia.
Ufficio Stampa AIPO