- Pubblicazione il 13 Aprile 2016
L’introduzione dei piani terapeutici per la prescrizione di alcune classi di farmaci destinati al trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ha stimolato un interessante dibattito.
“La gestione di tutte le patologie croniche, di quelle respiratorie in particolare, soffre di evidenti criticità” commenta Fausto De Michele, Past President dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO).
“La rilevanza epidemiologica della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) pone notevoli problemi nella gestione e nella presa in carico dei pazienti. Si calcola che in Italia vi siano tra i 2.5 ed i 3 milioni di pazienti affetti da BPCO, di questi solo un terzo ha una diagnosi, il che significa che quasi 2 milioni di pazienti non hanno né diagnosi né terapia. D’altra parte, oltre il 50% dei pazienti con diagnosi di BPCO non ha eseguito una spirometria necessaria, in base alle linee guida, per la conferma della stessa diagnosi”
“L’appropriatezza terapeutica nella gestione della BPCO è spesso carente. Lo scarso livello di caratterizzazione (fenotipizzazione) della malattia, in assenza di diagnostica funzionale, sia pure di primo livello (spirometria), determina una condizione di insoddisfacente inquadramento diagnostico con la conseguenza di trattamenti spesso inappropriati.”
“E’ evidente che tutte le misure che possono migliorare l’appropriatezza nella gestione della patologia e l’adesione alla terapia sono auspicabili. In tal senso anche l’utilizzo dei piani terapeutici per alcune classi di farmaci, se porta a una migliore definizione della diagnosi e stratificazione di gravità dei pazienti, può essere utile” commenta Giuseppe Insalaco, pneumologo Primo Ricercatore IBIM – CNR, Palermo, “Nel contempo, la rigida applicazione dei piani terapeutici rischia di innescare un meccanismo che potrebbe garantire un accesso limitato alle cure migliori di fronte a una malattia dai toni epidemiologici allarmanti.”
“Dobbiamo confrontarci con una situazione caratterizzata da sotto-diagnosi e sotto-trattamento con insufficiente emersione di patologia, difficile accesso alla diagnostica funzionale per la scarsa rappresentanza sul territorio di strutture pneumologiche, diagnosi spesso tardive in pazienti in fase avanzata di malattia, necessità di una effettiva presa in carico dei pazienti con una attività integrata tra MMG e specialista pneumologo. In tal senso il modello organizzativo delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) può costituire una importante occasione per una corretta gestione della BPCO. Da ultimo non va dimentica la necessità di realizzare una effettiva implementazione dei percorsi diagnostici terapeutici (PDTA) della BPCO che sono stati ormai approvati in quasi tutte le regioni” conclude Giuseppe Insalaco.
“Tutte queste operatività vanno incentivate, altrimenti la sola e rigida applicazione dei piani terapeutici, da utile strumento per migliorare l’appropriatezza, rischia di trasformarsi in un fattore di selezione con accesso privilegiato alle cure migliori per i pazienti più fortunati. Bisogna garantire una presa in carico precoce dei pazienti, prima che la malattia sia avanzata e sostanzialmente irreversibile e, al tempo stesso, è necessario migliorare il livello di inquadramento della BPCO per poter scegliere il miglior trattamento per ogni paziente” conclude Fausto De Michele.
Ufficio Stampa AIPO