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Pneumologia interventistica, le nuove metodiche diagnostiche e terapeutiche. Se ne è parlato a Bologna

Il carcinoma polmonare rappresenta, in Italia, il primo killer tumorale per gli uomini e il secondo per le donne dopo quello al seno. Diagnosticarlo precocemente significa poter intervenire in una fase in cui il tumore è ancora curabile e salvare molte vite umane.

Quali sono le novità nell’ambito di metodiche di diagnosi, terapia e screening per questa patologia?

Questo e altri temi hanno animato il 40 Forum Nazionale di Pneumologia Interventistica, organizzato dall’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), che si è svolto il 5 e 6 Giugno scorsi a Bologna. Confermato, come nelle precedenti edizioni, l’alto valore scientifico dell’evento, un’occasione di crescita professionale e di aggiornamento scientifico orientato a creare terreno fertile per un approccio multidisciplinare finalizzato alla cura di patologie che interessano l’apparato respiratorio.

Nasce alla fine degli anni ’90 una tecnica di screening del tumore polmonare di comprovata efficacia: la TAC a basso dosaggio. A parlarne è stata Giulia Veronesi, in forza presso la sezione di Chirurgia Robotica dell’Humanitas di Rozzano, Milano.

“Mi occupo dello screening del tumore polmonare dal 2000” spiega Giulia Veronesi “la Tac a basso dosaggio è una metodica di screening non invasiva che permette di riconoscere anche tumori molto piccoli. Un ampio studio clinico americano denominato “National Lung Screeening Trial” ne ha dimostrato l’efficacia in termini di riduzione della mortalità. Grazie alla validazione di questa metodica, conseguente ai risultati del suddetto studio, negli Stati Uniti lo screening del tumore polmonare è raccomandato così come lo sono quello del tumore al seno, del tumore alla cervice uterina, della prostata e del colon.”

“In Europa, dal punto di vista dei programmi di screening su larga scala siamo ancora un po’ indietro” continua Giulia Veronesi. “Le attuali linee guida prevedono il monitoraggio dei forti fumatori o degli ex fumatori di età superiore ai 55 anni dove il tasso di screening si attesta attorno all’1% che garantisce una sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi dei pazienti con tumore polmonare che si assesta attorno al 70-80% contro il 15% riscontrato nei pazienti non coinvolti nei programmi di screening. Un segnale importante che conferma quanto lo screening di questa patologia sia determinante nell’influenzarne la sopravvivenza.”

“Numerosi laboratori hanno messo a punto un test molecolare che attraverso la rilevazione di determinati marcatori molecolari consente di formulare una diagnosi. Si tratta di una metodica basata sul riconoscimento di piccolo frammenti di materiale genetico circolante solitamente rilasciati da cellule tumorali o da cellule del sistema immunitario in risposta a una forma tumorale. Tali frammenti vengono chiamati microRNA. Si tratta di un test molecolare basato su un semplice prelievo del sangue che nel 70- 80% dei casi permette di identificare una forma tumorale. Il nostro impegno è quindi orientato a convincere le istituzioni ad avviare programmi di screening per forti fumatori che preveda, ad oggi la TAC a basso dosaggio e, una volta validato, il test molecolare per il riconoscimento dei marcatori molecolari” conclude Giulia Veronesi.

Nel corso dell’evento Lina Zuccatosta in forza presso la UOC di Pneumologia degli Ospedali Riuniti di Ancona e responsabile della struttura semplice di Pneumologia Interventistica ha tenuto una lezione sulle tecniche di campionamento del nodulo polmonare periferico che, in una percentuale di casi non irrilevante, può essere un campanello di allarme per una diagnosi di tumore del polmone.

“Si definisce nodulo polmonare una lesione che si osserva alla radiografia del torace sotto forma di opacità rotondeggiante di dimensioni non superiori ai 3 cm, circondata da polmone normale, in assenza di altre lesioni associate. Il riscontro è spesso del tutto occasionale, ovvero il nodulo viene scoperto effettuando una radiografia per motivi non legati ad un disturbo respiratorio (l’esempio più classico è la radiografia del torace richiesta come esame pre-operatorio). Una volta scoperto, il passaggio successivo è rappresentato dalla tomografia o TC, che permette di studiare meglio sotto il profilo dell’immagine le caratteristiche del nodulo e può evidenziare eventuali altre lesioni del torace non visibili con la semplice radiografia standard. Poiché il tumore del polmone nelle sue fasi iniziali si può manifestare come nodulo isolato, è importante avere la possibilità di stabilire una diagnosi eziologica, dal momento che se si tratta di un tumore primitivo polmonare in fase iniziale, la chirurgia garantisce un trattamento radicale con buona sopravvivenza. Nello stesso tempo, escludere che il nodulo sia maligno, ovvero stabilire una diagnosi di benignità evita il ricorso ad una inutile chirurgia. Poiché nella maggior parte dei casi il nodulo polmonare non è associato a lesioni visibili nei bronchi che si esplorano con la broncoscopia, è necessario utilizzare dei “sistemi di guida” che permettano di raggiungere la lesione durante la broncoscopia ed effettuare i prelievi bioptici per ottenere la diagnosi.

“Più il nodulo è piccolo e più difficile sarà identificarlo e raggiungerlo” continua Lina Zuccatosta. “Il prelievo viene fatto grazie a sistemi di guida che aiutano a individuare la strada per arrivare al nodulo. Oggi, grazie ai progressi dell’ingegneria clinica e della radiologia possiamo disporre, accanto alla fluoroscopia ed alla TC che rappresentano i sistemi tradizionali e più largamente utilizzati, di nuovi sistemi di guida quali la navigazione virtuale, la navigazione elettromagnetica, la TC-dinamica e piccole sonde ecografiche (mini-probe), che vengono inserite attraverso i bronchi fino a raggiungere il polmone. L’accuratezza diagnostica garantita da questi nuovi sistemi di guida è circa il 70% e può arrivare all’85% con il loro utilizzo combinato e questo vale anche per noduli piccoli. Si tratta di strumenti molto sofisticati e costosi, che richiedono personale competente e che sia formato all’utilizzo. Per queste ragione non è ipotizzabile che tutti gli ospedali del territorio possano esserne dotati ma che lo siano alcuni centri specialistici dove, nell’ambito di una collaborazione multidisciplinare, il paziente con nodulo polmonare possa avere la migliore gestione, evitando ritardi inutili e toracotomie non necessarie conclude Lina Zuccatosta.

Nel corso della due giorni bolognese si è parlato di una nuova terapia per l’asma grave: la termoplastica bronchiale. A svelarne le caratteristiche e potenzialità è stato Nicola Facciolongo che lavora presso la S.C. Pneumologia dell’azienda ospedaliera IRCCS Santa Maria Nuova, Reggio Emilia e Responsabile della Struttura Semplice di Terapia Intensiva Respiratoria.

“La termoplastica bronchiale è una terapia non farmacologica per l’asma grave destinata a pazienti che non sono responsivi al trattamento medico standard. Il trattamento consiste nell’introduzione di un catetere nel canale operativo di un broncoscopio introdotto nelle vie aeree. Questo catetere viene collegato a una macchina che emette radiofrequenze con sviluppo di calore controllato a 65 gradi che si applica alla mucosa dei bronchi” spiega Nicola Facciolongo.

“E’ una metodica che si realizza in tre sedute a distanza di un mese l’una dall’altra dove vengono trattati prima il lobo inferiore di destra poi il lobo inferiore di sinistra e in terza seduta i due lobi superiori. E’ una metodica molto innovativa. Ad oggi sono circa 4000 i pazienti trattati in tutto il mondo e il nostro centro è quello in Italia ad avere trattato il più alto numero di pazienti” continua Facciolongo.

“Questa metodica è in grado di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti affetti da asma grave, che presentano frequenti riacutizzazioni e sono costretti a forti limitazioni delle normali attività quotidiane” continua l’esperto. “I dati della letteratura indicano un miglioramento in circa il 50% dei pazienti trattati con termoplastica bronchiale. I pazienti continuano il tradizionale trattamento medico ma in molti casi riescono a ridurre significativamente la dose del cortisone per via orale. Si tratta di una metodica ancora in fase di sperimentazione. Per poterne validare l’efficacia è necessario aumentare la casistica dei pazienti trattati ma i risultati finora osservati sono indubbiamente promettenti” conclude Nicola Facciolongo.

Ufficio Stampa AIPO