Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi, contenuti personalizzati e annunci.

 

Nel 1917, il fisiologo britannico John Scott Haldane fu il primo a descrivere il ruolo fisiopatologico dell’ossigeno-terapia nel trattamento dell’insufficienza respiratoria, ponendo le basi per uno degli interventi più rilevanti nella gestione delle patologie respiratorie croniche. Nel corso del tempo, l’impiego dell’ossigeno come supporto terapeutico si è affermato progressivamente, divenendo una pratica consolidata nella cura dei pazienti con insufficienza respiratoria cronica.
Il razionale che sostiene l’ossigeno-terapia a lungo termine, in particolare nei pazienti con ipossiemia grave e persistente a riposo, si fonda su due studi fondamentali condotti negli anni ’70. Tali studi, che hanno coinvolto complessivamente 290 pazienti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), hanno dimostrato un significativo beneficio in termini di sopravvivenza legato alla somministrazione prolungata di ossigeno (1, 2). Queste evidenze hanno contribuito a definire le attuali indicazioni cliniche, tuttora largamente adottate nella pratica medica.
Tradizionalmente, l’ossigeno-terapia viene prescritta per 24 ore al giorno. Tuttavia, lo studio del Medical Research Council (MRC) ha evidenziato che anche una somministrazione di 15 ore al giorno può migliorare la sopravvivenza, suggerendo che il beneficio terapeutico non sia strettamente proporzionale alla durata della terapia (2).
È fondamentale considerare anche l’impatto che l’ossigeno-terapia può avere sulla qualità della vita: la somministrazione per l’intera giornata è spesso associata a limitazioni della mobilità, isolamento sociale, stigma, e una marcata riduzione dell’autonomia personale (3).
In linea con queste considerazioni, alcuni studi osservazionali più recenti non hanno evidenziato differenze significative né nella frequenza delle ospedalizzazioni (4) né nella sopravvivenza a quattro anni (5) tra pazienti trattati con ossigeno per 15 ore e quelli sottoposti a terapia continuativa. Tali risultati sollevano importanti interrogativi circa la necessità di personalizzare maggiormente la prescrizione dell’ossigeno, bilanciando benefici clinici e qualità di vita.
In questo contesto si inserisce lo studio REDOX (Reduction of Oxygen), il primo trial clinico randomizzato e controllato volto a valutare la non superiorità della somministrazione di ossigeno-terapia per 24 ore rispetto a quella limitata a 15 ore al giorno.
Lo studio ha mirato a verificare se una riduzione della durata dell’ossigeno-terapia potesse garantire un’efficacia clinica sovrapponibile, riducendo al contempo il suo impatto sulla quotidianità del paziente.
I pazienti arruolati provengono dal registro nazionale svedese Svedevox, che include circa l’85% dei soggetti in ossigeno-terapia a lungo termine in Svezia, garantendo così una coorte ampiamente rappresentativa. I criteri di inclusione comprendevano età superiore ai 18 anni e ipossiemia severa a riposo, definita da PaO₂ < 55 mmHg o SpO₂ < 88% in aria ambiente, oppure PaO₂ < 60 mmHg in presenza di segni di scompenso cardiaco destro o policitemia. Sono stati esclusi i fumatori attivi e i soggetti esposti a fiamme, per motivi di sicurezza.
La randomizzazione è stata effettuata con rapporto 1:1, assegnando i pazienti a un regime di 15 o 24 ore di ossigeno-terapia al giorno. Il flusso di ossigeno è stato titolato per mantenere una PaO₂ < 60 mmHg e una SpO₂ > 90%. Nel gruppo 15h, la terapia veniva sospesa per circa 9 ore durante il giorno, mantenendola nelle ore notturne.
L’endpoint primario era rappresentato da un outcome composito di mortalità e ospedalizzazione entro un anno. Gli endpoint secondari, valutati a 3 e 12 mesi, comprendevano mortalità e ricoveri per tutte le cause, nonché per cause respiratorie e cardiovascolari, oltre agli esiti riferiti dal paziente (dispnea, astenia, stato di salute percepito, benessere soggettivo e aderenza alla terapia).
Sono stati arruolati 241 pazienti tra marzo 2018 e aprile 2022: 117 assegnati al gruppo 24h e 124 al gruppo 15h. L’età media era di 76 ± 7 anni, e il 59% dei pazienti era di sesso femminile. Le principali patologie responsabili dell’ipossiemia erano la BPCO e la fibrosi polmonare. I partecipanti sono stati stratificati per gravità dell’ipossiemia e diagnosi spirometrica.
Il tempo medio al primo evento (morte o ospedalizzazione) è stato di 168 giorni nel gruppo 24h e di 159 giorni nel gruppo 15h, senza differenze statisticamente significative.
Gli endpoint secondari hanno confermato l’assenza di differenze significative tra i due regimi terapeutici, sia a 3 che a 12 mesi. Anche il numero di eventi avversi potenzialmente correlati all’ossigeno (ustioni, cadute, epistassi) è risultato simile nei due gruppi (8 vs. 9 eventi).
Lo studio REDOX ha dunque dimostrato che, nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica e ipossiemia grave a riposo, la somministrazione di ossigeno per 15 ore al giorno è clinicamente non inferiore a quella per 24 ore, sia in termini di sopravvivenza sia di rischio di ospedalizzazione a un anno. Questi risultati si confermano anche nelle analisi per sottogruppi definiti da gravità dell’ipossiemia e patologia di base.
Rispetto agli studi storici (1, 2), il REDOX rappresenta un importante avanzamento: ha quasi raddoppiato il numero di pazienti, includendo una popolazione più anziana e con un maggiore carico di comorbidità, quindi più rappresentativa della pratica clinica attuale. I risultati sono inoltre coerenti con evidenze più recenti che hanno messo in discussione l’utilità dell’ossigeno per la sola ipossiemia notturna (6) o per l’ipossiemia da sforzo moderata (7).
Tuttavia, lo studio presenta alcune limitazioni. La durata dell’ossigeno-terapia non è stata misurata oggettivamente, ma auto-riferita dai pazienti, introducendo un potenziale bias. Inoltre, per difficoltà nell’arruolamento, è stato necessario modificare i criteri di inclusione. Non si può pertanto escludere un modesto beneficio clinico di un regime continuativo, che potrebbe emergere con un follow-up più prolungato. Gli studi storici, infatti, hanno considerato orizzonti temporali fino a quattro anni.
In conclusione, il trial REDOX fornisce una solida evidenza clinica a favore di un approccio meno intensivo ma ugualmente efficace all’ossigeno-terapia nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica. Una somministrazione per 15 ore al giorno non compromette gli esiti clinici a un anno, riducendo sensibilmente il carico terapeutico e potenzialmente migliorando l’aderenza e la qualità della vita del paziente.

Bibliografia 

  1. Continuous or nocturnal oxygen therapy in hypoxemic chronic obstructive lung disease: a clinical trial. Nocturnal Oxygen Therapy Trial Group. Ann Intern Med, 1980. 93:391-8.
  2. Long term domiciliary oxygen therapy in chronic hypoxic cor pulmonale complicating chronic bronchitis and emphysema. Report of the Medical Research Council Working Party. Lancet, 1981. 1(8222):681-6.
  3. Jacobs, SS, Krishnan JA, Lederer DJ, et al. Home oxygen therapy for adults with chronic lung disease. An official American Thoracic Society clinical practice guideline. Am J Respir Crit Care Med, 2020. 202(10):e121-41.
  4. Sundh J, Ahmadi Z, Ekström M, Daily duration of long-term oxygen therapy and risk of hospitalization in oxygen-dependent COPD patients. Int J Chron Obstruct Pulmon Dis 2018;13:2623-28.
  5. Lacasse Y, LaForge J, Maltais F, Got a match? Home oxygen therapy in current smokers. Thorax, 2006; 61:374-5.
  6. Lacasse Y, Series F, Corbeil F, et al, Randomized trial of nocturnal oxygen in chronic obstructive pulmonary disease. N Engl J Med, 2020;383: p. 1129-38.
  7. Albert RK, Au DH, Blackford AL, et al., A randomized trial of long-term oxygen for COPD with moderate desaturation. N Engl J Med, 2016;375:1617-27.