- Pubblicazione il 14 Giugno 2012
Recenti dati della letteratura hanno supportato l’efficacia della ventilazione non-invasiva (NIV) nei pazienti ultra-ottagenuari con insufficienza respiratoria acuta (IRA) specie se correlata a “pump-failure” da riacutizzazione di patologie respiratorie croniche (BPCO in primis ma non solo!), analogamente a quanto ampiamente dimostrato per soggetti più giovani (1-3), principale "target" degli studi randomizzati controllati su questo topic (4).
La peculiarità di questa fascia della popolazione di "ultra-anziani", in costante espansione demografica, è che sia il governo clinico dell’IRA nell’ospedale per acuti sia il comportamento del medico nella pratica clinica prevedono un minor uso di risorse sanitarie -ricovero in Unità di Terapia Intensiva (ICU) e ricorso alla ventilazione meccanica invasiva (VMI)- rispetto a pazienti anziani under-80 con lo stesso livello di disfunzione clinico-fisiologica (5). Le ragioni di tale “bias” di trattamento condizionato dall’età vanno ricercate sia nell’atteggiamento pessimistico del medico verso le patologie croniche avanzate in pazienti molto anziani (6) sia nel più o meno ricercato e confermato stato di volontà del paziente di limitazione all’uso delle cure massimali, in altre parole il DNI ("do-not intubate") e/o DNR ("do not resuscitate") status (5;7-9). E’ proprio in questo nodo biologico-anagrafico- basato più spesso su “preconcetti mentali” che su evidenze scientifiche o dati della “real-life” che si inserisce la NIV. La NIV, in parte anche a causa di una eccessiva "semplificazione/banalizzazione", non viene quasi mai negata, “ultra-anziani” inclusi.
Fatta questa premessa, il punto che mi premeva discutere relativamente all’uso della NIV negli ultra-ottantenni riguarda essenzialmente il setting di trattamento.
Mentre l'uso della NIV nei pazienti con IRA senza riserve al ricorso ad una strategia basata sull’ "escalation therapy" (O2, NIV, VMI, supporto artificiale di altro organi) può essere ad appannaggio, a seconda della tipologia della sindrome acuta ("lung failure" o "pump failure") e la probabilità di successo, di diverse unità di cura (ICU, Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (RICU), Dipartimento di Emergenza (ED) o Reparto ordinario), se dotate di personale qualificato, adeguato monitoraggio, e possibilità di rapida transizione alla VMI in caso di fallimento (4), il setting più appropriato per la cura dei "pazienti DNI" è probabile che sia al di fuori della ICU. Infatti, per queste categorie di pazienti per i quali l'intubazione endotracheale è discutibile e/o la cura del paziente è incentrata in gran parte sulla palliazione, il fallimento della NIV richiede un rapido intensificarsi delle misure di controllo dei sintomi, che può essere più adeguatamente eseguito in luoghi di cura "aperti" o "semi-aperti", come le RICU o le wards, con il supporto dei familiari (7-9). La possibilità di utilizzare NIV nell’ "end-of-life" è chiaramente emersa nelle RICU Europee, dove gli pneumologi si trovano a dovere confrontarsi con “pazienti DNI” portatori di patologie respiratorie croniche (9). Questo non è sorprendente, poiche’ le RICU differiscono sostanzialmente dalle ICU in termini di case-mix di pazienti, personale, sistemi di monitoraggio e uso della NIV come l'approccio preferito ventilatorio (10). Inoltre, una recente survey nord-americana ha dimostrato che, rispetto agli intensivisti, gli pneumologi ricorrono più frequentemente alla NIV nei “pazienti DNI”, riportando una maggiore fiducia sulla sua utilità sulla palliazione della dispnea nelle cure di fine-vita (11). Alla base di questo "gap ideologico" sta la più "ampia" visione dello pneumologo che segue tutte le fasi della malattia, a differenza dell’intensivista che concentra la propria attenzione sulla sola gestione della fase di riacutizzazione nei diversi stadi della stessa malattia.
In uno studio prospettico di cosiddetta "vita reale" condotto in una ampia coorte di pazienti ventilati meccanicamente in ICU, Schortgen et al. (12) hanno dimostrato come la NIV è più usata "negli ultra-anziani" rispetto agli under-80 (60% vs 32%) senza differenze significative in termini di mortalità ospedaliera tra i due gruppi di pazienti di diversa età quando la NIV veniva utilizzata nelle patologie raccomandate dell’EBM (es. riacutizzazione di BPCO, edema polmonare cardiogeno, prevenzione della "post-extubation failure") senza limitazione delle cure massimali (4). Opportunamente gli Autori sottolineano il ruolo della NIV come terapia ventilatoria "tetto" nel contesto di uno “stato di DNI”, che si dimostra essere la principale indicazione negli ultra-ottantenni (40%) dato il loro alto rischio di sviluppare complicanze durante la VMI. Dallo studio inoltre emerge l’"identikit" di questo sottogruppo di "ultra-anziani" quali pazienti particolarmente "fragili" pesantemente dipendenti nell’espletazione delle ADL, con pluri-comorbidità, in stadi molto avanzati della malattia respiratoria cronica di base, spesso già in ventilo terapia domiciliare. Anche se Schortgen et al. riportano un tasso di mortalità ospedaliera più bassa nel gruppo "DNI" vs il gruppo "non-DNI" di ultra-anziani (56% vs 15%), appare ragionevole pensare che non c’è in fondo nulla da perdere nel tentare un trial di NIV in pazienti in cui senza un supporto ventilatorio la mortalità è vicino al 100%. Come sottolineato dagli Autori, la NIV può essere considerata una valida scelta in un'ampia gamma di differenti scenari clinici correlati allo stato di "DNI" proponendosi diversi obiettivi: supporto ventilatorio volto a trattare un episodio di IRA da una causa potenzialmente reversibile; strumento di pura palliazione come misura di comfort nella gestione del fine-vita (7,8).
Tenendo presente questa situazione di "vita reale" appare però leggittimo chiedersi se la ICU costituisca l’ambiente più appropriato per trattare con NIV pazienti "DNI ultra-anziani" così come è avvenuto nel lavoro di Schortgen et al. .Infatti, l'assegnazione di “pazienti ultra-anziani DNI” ad un setting, come la ICU, tradizionalmente concepito per trattare soggetti senza limitazione delle cure di sostentamento vitale pone preoccupanti interrogativi di ordine etico-finanziario: 1) una allocazione discutibile delle preziose risorse sanitarie correlate all’uso dell’ICU secondo la classica bilancia "peso dell’intensità assistenziale-costo di cura giornaliera"; 2) una soddisfazione inadeguata di pazienti allo stadio avanzato della propria malattia verso la fine della loro vita in termini di comunicazione con i loro familiari. Alla luce di queste considerazioni, una riflessione accurata meriterebbe l’opzione di trattare pazienti ultra-anziani con uno stato di “DNI” al di fuori delle ICU tradizionali.
Bibliografia
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