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Le patologie interstiziali diffuse (ILD) riconoscono una vasta gamma di processi etiologici che convergono su un fenotipo comune, l’ispessimento fibrotico dell’interstizio polmonare irreversibile con ipossiemia e sindrome restrittiva. Esistono alcune interstiziopatie ad etiologia da agenti inalatori riconosciuti, quali l’asbestosi e la silicosi o la polmonite da ipersensibilità, ma mentre l’inquinamento aereo è riconosciuto quale agente etiologico o aggravante nelle patologie polmonari più diffuse quali la BPCO l’asma e le neoplasie, l’eventuale influenza sulle patologie interstiziali non è stata studiata e non abbiamo idee sul rapporto tra sviluppo e progressione delle ILD e fattori di rischio ambientali.
Il lavoro di Kerri A. Johannson e colleghi si propone di affrontare quest’ordine di problemi raccogliendo quanto è stato studiato e scritto sull’argomento. Intanto ci spiega di che cosa si intende per Inquinamento atmosferico (air pollution) cioè materiale chimico fisico e biologico rilasciato nell’atmosfera principalmente l’Ozono (O3) l’Ossido Nitrico (NO2), l’Anidride Solforosa e il piombo. Il Particolato (PM: Particulate Matter) è una mescolanza di particelle liquide solide e di vapore provenienti dalla combustione degli olii fossili (ad esempio il diesel o il carbone o gli olii fossili bruciati). Tali sostanze volatili protagoniste dell’inquinamento ambientale hanno dimensioni dai 10 ai 2 millimicron e sono classificati come coarse, fini ed ultrafini ed hanno evidentemente la possibilità di penetrare nell’apparato respiratorio e depositarsi direttamente o provocare una risposta infiammatoria a livello del fine interstizio.
L’inquinamento ambientale (IA) è stato descritto come causa e/o fattore di aggravamento nell’asma nella BPCO nelle neoplasie polmonari e nella fibrosi cistica in un rilevante numero di studi epidemiologici. Fumo di sigarette, età oltre il quinto decennio, prevalenza di sesso maschile sono dati epidemiologici consolidati per la Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) che indirettamente suggeriscono l’esistenza di una relazione con l’inquinamento ambientale. Esistono però solo due studi relativi a questa tematica (1,2) che evidenziano l’effetto della IA sull’aggravamento dei sintomi respiratori e il rischio di esacerbazioni acute, principale causa di morte in questi pazienti. Gli autori passano poi ad esaminare i potenziali meccanismi di azione degli agenti inquinanti sulla patogenesi della IPF.
Studi sperimentali negli animali dimostrano che l’esposizione ad O3 provoca lesioni epitelio alveolari, aumentata la sintesi del DNA nelle cellule dei bronchioli e delle cellule epiteliali tipo 2, mentre il PM o le polveri miste potenziano l’effetto degli agenti ossidanti a livello della flogosi dell’interstizio con accumulo di cellule infiammatorie: il danno da polluzione, chiamato stress ossidativo, consiste nella produzione dei radicali ossidanti e dell’anione superossido che induce danno tissutale. Il danno ossidativo agisce particolarmente a livello dei telomeri e della telomerasi (meccanismo di protezione che del DNA dalla perdita delle corrette informazioni genetiche). A questo livello si ipotizza che la prolungata esposizione agli inquinanti aerei sia responsabile dell’accorciamento dei telomeri e dunque della alterata regolazione della produzione del Transforming Growth Factor che attiva la fibrogenesi. I meccanismi di attivazione della patologia fibrotica polmonare correlati all’inquinamento ambientale, stress ossidativo, infiammazione e accorciamento dei telomeri vanno a costituire gli elementi causali della “esposizione ambientale” che nella interazione con il genoma di un individuo geneticamente predisposto può agire da trigger nello sviluppo della patologia o nelle più frequenti e gravi riacutizzazioni.
Questo modello chiamato “Exposoma” già validato in altre patologie neoplastiche e non, può essere un utile concetto di ricerca per la caratterizzazione dell’esposizione ambientale e il contributo alla etiologia e progressione della malattia. Si pongono evidentemente due problemi prioritari, come identificare e misurare i biomarkers individuali (ossido notrico esalato? MicroRNA nell’espettorato?, livelli sierologici di IL6?) e come valutare il rischio ambientale che secondo gli autori dovrebbero essere presenti in tutti gli studi  sulla patogenesi delle ILD.
Questo lavoro mi ha interessato particolarmente per l’introduzione del concetto di Exposoma, quale modello di ricerca per capire e dunque in prospettiva meglio curare una patologia come l’IPF  assai poco conosciuta, il che porta ad una sottovalutazione epidemiologica e alle diagnosi tardive, valutazione estendibile anche alle ILD di altra etiologia e gravità: lo stesso Autore aveva già pubblicato nel 2014 uno studio che evidenziava la correlazione tra le esacerbazioni acute della IPF e l’esposizione agli inquinanti atmosferici.

Bibliografia

1-    Wild CP. Complementing the genome with an “exposome”: the outstanding chellenge of environmental exposure measurement in molecular epidemiology.cancer. Epidemiol Biomarkers Prev 2005;14:1847-50.
2-    Alder JK, Chen JJ-L, Lancaster L, et al. Short telomeres are a risk factor for Idiopathic pulmonary fibrosis. Proc Natl Acad Sci USA 2008;105:1351-6.
3-    Fry RC, Rager JE, Bauer R, et al. Air toxics and epigenetic effects:ozone altered microRNA in the sputum of humans subjects. Am J Physiol Lung Cell Mol 2014;306:129-37.
4-    Johannson KA, Vittinghoff E, Lee K, et al. Acute exacerbation of idiopathic pulmonary fibrosis associated with air pollution exposure. Eur Respir J 2014;43: 1124-31.