- Pubblicazione il 06 Ottobre 2025
La classificazione delle Polmoniti Interstiziali (IP) ha subito negli ultimi vent’anni un’evoluzione sostanziale, parallelamente ai progressi nella comprensione dei meccanismi patogenetici e alle tecniche diagnostiche radiologiche e istopatologiche sempre più innovative. Il documento ATS/ERS del 2002 rappresentò il primo tentativo sistematico di definire le Idiopathic Interstitial Pneumonias (IIP), individuando sette entità principali basate su criteri istologici standardizzati. Tale schema venne aggiornato nel 2013, quando si riconobbe formalmente la Nonspecific Interstitial Pneumonia (NSIP) come pattern maggiore, si introdusse la Pleuroparenchymal Fibroelastosis (PPFE) come nuova entità rara, e si ampliò il concetto di comportamento di malattia, includendo ad esempio le riacutizzazioni delle forme fibrosanti. Già allora si era sottolineata l’importanza dell’approccio multidisciplinare e si erano intravisti i primi segnali di un futuro ruolo dei biomarcatori molecolari.
Il nuovo documento del 2025 segna un passaggio ancora più netto, che riflette i bisogni della pratica clinica contemporanea e l’accresciuta consapevolezza della complessità delle interstiziopatie. La prima e forse più rilevante innovazione è l’abbandono della differenziazione tra forme idiopatiche e secondarie. Oggi non appare più giustificato mantenere tale dicotomia, poiché la realtà clinica ci mostra che molti casi inizialmente considerati idiopatici rivelano nel tempo un fattore causale, e viceversa alcune forme tipicamente secondarie possono presentarsi senza chiara esposizione o associazione. La nuova classificazione ingloba quindi in un unico schema sia le forme idiopatiche sia quelle secondarie, creando una cornice più flessibile e adatta ad accogliere future acquisizioni eziologiche.
Un secondo aspetto cruciale riguarda l’introduzione di nuove sottocategorie e modifiche terminologiche, volte a chiarire ambiguità e ad allineare la nomenclatura con la reale fisiopatologia. Viene riconosciuta a pieno titolo la Bronchiolocentric Interstitial Pneumonia (BIP), che si affianca a UIP e NSIP come terzo grande pattern fibrosante. Questa scelta nasce dall’evidenza che il pattern bronchiolocentrico non si esaurisce nella sola polmonite da ipersensibilità, ma si ritrova anche in contesti quali le ILD da connettivopatie, l’aspirazione cronica e la tossicità da farmaci. Sul piano terminologico, altre due modifiche meritano attenzione: la sostituzione della Acute Interstitial Pneumonia (AIP) con il termine Idiopathic Diffuse Alveolar Damage (DAD), ritenuto più preciso perché l’aspetto del danno alveolare diffuso può comparire anche in altre condizioni acute; e la sostituzione della Desquamative Interstitial Pneumonia (DIP) con Alveolar Macrophage Pneumonia (AMP), che riflette in modo più puntuale la natura del processo, ossia l’accumulo di macrofagi alveolari e non la desquamazione degli pneumociti come originariamente ipotizzato.
Il terzo elemento innovativo riguarda lo schema di sottoclassificazione. La suddivisione del 2013 in forme fibrosanti croniche, fumo-correlate e acute/subacute lascia ora spazio a una distinzione più raffinata, basata sul compartimento polmonare prevalentemente colpito. Vengono così separate le forme interstiziali da quelle da riempimento alveolare. Le prime vengono ulteriormente distinte in fibrotiche e non fibrotiche, con implicazioni prognostiche e terapeutiche importanti, specie in patologie come NSIP e BIP, che possono manifestarsi lungo un continuum di severità. Le seconde sono classificate in base al tipo di cellule o materiale che occupa gli spazi alveolari, comprendendo ad esempio macrofagi, eosinofili, proteine o lipidi. Questo modello si dimostra più aderente alla realtà clinica, in cui raramente il danno si limita a un compartimento isolato, e pone le basi per una stratificazione più precisa dei pazienti, utile anche in ottica di trial terapeutici. Centrale rimane il concetto di “comportamento di malattia”, che assume particolare rilevanza con l’introduzione del concetto di Progressive Pulmonary Fibrosis (PPF). Tale cornice, ormai riconosciuta anche dalle linee guida terapeutiche, permette di identificare pazienti che, indipendentemente dall’eziologia, presentano una progressione clinica e radiologica suscettibile di trattamento con farmaci antifibrotici.
La quarta grande novità consiste nell’esplicita considerazione del grado di confidenza diagnostica. Poiché per la maggior parte delle interstiziopatie non esiste un test patognomonico, il processo diagnostico resta multidimensionale, e spesso affetto da incertezza. Il documento propone di dichiarare sempre il livello di confidenza con cui una diagnosi viene formulata, distinguendo tra diagnosi “confidente” (≥90%), “provvisoria” (51–89%) e “non classificabile” (<50%). Tale approccio, mutuato dall’esperienza con la fibrosi polmonare idiopatica, ha il merito di standardizzare la comunicazione tra clinici, radiologi e patologi, di orientare le decisioni circa l’opportunità di esami invasivi e di mantenere aperta la possibilità di revisione critica nel follow-up. Inoltre, viene incoraggiato l’uso di un linguaggio standardizzato nei referti, in cui il pattern radiologico o istologico venga chiaramente distinto dalla diagnosi multidisciplinare finale.
Queste innovazioni non sono puramente semantiche, ma hanno ricadute concrete sulla pratica clinica. Il riconoscimento della BIP come pattern maggiore, ad esempio, obbliga a considerare più attentamente diagnosi differenziali oltre alla classica ipersensibilità, mentre l’introduzione di AMP e DAD riduce il rischio di interpretazioni fuorvianti legate a termini storicamente impropri. La distinzione tra forme fibrotiche e non fibrotiche, insieme all’attenzione al comportamento di malattia, ha conseguenze immediate nella scelta terapeutica, specialmente nell’era degli antifibrotici. Infine, l’esplicitazione della confidenza diagnostica contribuisce a un processo decisionale più trasparente e condiviso.
In conclusione, l’aggiornamento 2025 della classificazione ERS/ATS delle polmoniti interstiziali rappresenta un deciso avanzamento rispetto al documento del 2013. L’espansione oltre le forme idiopatiche, l’introduzione di nuove categorie e terminologie più precise, la riorganizzazione in base ai compartimenti polmonari e l’attenzione alla confidenza diagnostica costituiscono i pilastri di questa revisione. Il nuovo schema non solo rispecchia meglio la complessità biologica e clinica delle interstiziopatie, ma fornisce anche uno strumento più funzionale alla pratica clinica quotidiana, in grado di guidare in modo preciso diagnosi e trattamento.