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Le interstiziopatie polmonari (ILD) comprendono un ampio e variegato numero di affezioni di frequente riscontro nella pratica clinica. Fra queste, la Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF), oltre ad essere la più comune, risulta purtroppo gravata dalla più elevata mortalità. In questo contesto l’identificazione di fattori prognostici che possano identificare i pazienti a maggior rischio di progressione rapida diventa fondamentale.
L’articolo recentemente pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine da Alonso-González et al., getta nuova luce sulla rilevanza delle varianti genetiche rare nella definizione della prognosi di questi pazienti, e propone un uso combinato di varianti rare e punteggi di rischio poligenico (Polygenic Risk Scores, PRS) per una più accurata stratificazione del rischio.
Questo studio multicentrico, osservazionale e convalidato in coorte indipendente, ha incluso più di 1.300 pazienti affetti da IPF, provenienti dal Pulmonary Fibrosis Foundation Patient Registry (PFFPR) statunitense e dallo studio britannico PROFILE. Gli autori hanno analizzato la presenza di varianti rare in 13 geni noti per essere associati a forme monogeniche di fibrosi polmonare, suddivisi in geni correlati ai telomeri e geni non telomerici. Inoltre, è stato calcolato per ciascun partecipante un PRS basato su 19 varianti comuni associate all’IPF, tra cui il ben noto polimorfismo rs35705950 del gene MUC5B.
Uno dei principali risultati dello studio è che i portatori di varianti rare avevano una sopravvivenza significativamente più bassa rispetto ai non portatori. L’effetto era ancora più marcato tra i portatori di varianti considerate patogeniche o verosimilmente patogeniche. Inoltre, tali portatori tendevano ad avere un PRS-IPF più basso, suggerendo che le varianti rare e quelle comuni influenzano il decorso della malattia con meccanismi distinti e non additivi.
Dal punto di vista clinico, questi dati hanno implicazioni rilevanti. L’identificazione di varianti rare in geni associati alla Fibrosi Polmonare Idiopatica può diventare uno strumento prognostico di valore, aiutando a identificare pazienti a maggior rischio di progressione rapida meritevoli di una stretta sorveglianza clinica. Inoltre, la possibilità di impiegare il PRS-IPF per selezionare i pazienti da sottoporre a sequenziamento genomico potrebbe razionalizzare l’uso delle risorse, evitando test costosi nei pazienti con basso rischio genetico aggregato.
Una delle osservazioni più interessanti riguarda l’interazione fra il polimorfismo MUC5B rs35705950 e le varianti rare. I portatori dell’allele di rischio T del MUC5B avevano una minore probabilità di essere portatori di varianti rare, suggerendo una possibile compensazione biologica, o la definizione di sottotipi genetici distinti di IPF. Questa non additività rafforza la necessità di considerare la genetica della IPF in maniera più complessa e multilivello.
Un altro aspetto degno di nota è l’uso della lunghezza dei telomeri stimata dal sequenziamento genomico (WGS-TL) come marcatore funzionale dell’effetto delle varianti. Anche se i portatori di varianti telomeriche mostravano una riduzione significativa della lunghezza dei telomeri, tale parametro non si è rivelato predittivo della sopravvivenza. Ciò potrebbe dipendere da limiti metodologici o dalla necessità di raggiungere soglie critiche per determinare un impatto clinico significativo (1).
La validità dei risultati è rafforzata dalla replicazione degli stessi nella coorte PROFILE e dalla metanalisi con effetto coerente tra le due popolazioni. Questo è un importante elemento di forza dello studio, che suggerisce una buona generalizzabilità dei dati.
Non mancano tuttavia alcune limitazioni. Gli autori sottolineano che l’analisi è stata condotta su un set limitato di geni, prevalentemente a ereditarietà dominante, escludendo geni recessivi noti come ABCA3. Inoltre, la maggior parte delle varianti rare non è stata confermata con test funzionali o dati di co-segregazione, e alcune potrebbero essere varianti di significato incerto. Anche l’applicabilità dei PRS in popolazioni non europee resta una questione aperta, poiché la maggior parte degli studi di associazione genome-wide (GWAS) finora è stata condotta su coorti di origine europea (2).
In conclusione, la stratificazione genetica dei pazienti con IPF può migliorare significativamente la gestione clinica, fornendo indicazioni prognostiche utili e aprendo la strada alla medicina di precisione. Sebbene le linee guida attuali raccomandino i test genetici solo nei casi familiari, i dati dimostrano che un numero rilevante di pazienti sporadici è portatore di varianti patogeniche (3). Sarebbe pertanto auspicabile una revisione dei criteri per l’accesso al testing genetico, includendo fattori clinici, familiari e, appunto, PRS.
Lo studio di Alonso-González et al. rappresenta un passo importante verso l’integrazione dei dati genomici nella pratica clinica della Fibrosi Polmonare Idiopatica. L’uso combinato di varianti rare e punteggi di rischio poligenico offre un potente strumento per migliorare la prognosi e personalizzare l’approccio terapeutico in una patologia ancora oggi gravata da alta mortalità e limitate opzioni terapeutiche (4).

Bibliografia

1. Stuart BD, Lee JS, Kozlitina J, et al. Effect of telomere length on survival in patients with idiopathic pulmonary fibrosis: an observational cohort study with independent validation. Lancet Respir Med 2014;2:557-65.
2. Partanen JJ, Häppölä P, Zhou W, et al. Leveraging global multi-ancestry meta-analysis in the study of idiopathic pulmonary fibrosis genetics. Cell Genom 2022;2:100181.
3. Zhang D, Newton CA, Wang B, et al. Utility of whole genome sequencing in assessing risk and clinically relevant outcomes for pulmonary fibrosis. Eur Respir J 2022;60:2200577.
4. Raghu G, Remy-Jardin M, Richeldi L, et al. Idiopathic pulmonary fibrosis and progressive pulmonary fibrosis in adults: an official ATS/ERS/JRS/ALAT clinical practice guideline. Am J Respir Crit Care Med 2022;205:e18-47.