- Pubblicazione il 10 Gennaio 2025
Il presente lavoro, primo di tre nella stessa rivista sull’argomento, valuta l’importanza prognostica, in BPCO, della inattività fisica e della limitazione all’esercizio, due manifestazioni diverse ma correlate fra loro. L’attività fisica viene definita come “ogni movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che determina un dispendio energetico” e l’esercizio come “una sottocategoria di attività fisica che è pianificata, strutturata, ripetitiva e intenzionale e che ha, come obiettivo finale, il miglioramento o il mantenimento di una o più componenti della forma fisica"(1).
Una grande percentuale di soggetti con BPCO mostra una ridotta capacità nello svolgere esercizi di intensità moderata/alta a causa della dispnea e della fatica muscolare, indipendentemente dal grado di ostruzione. Non sorprende anche che soggetti BPCO riducano l’attività fisica rispetto ai controlli sani della stessa età, sia in termini di durata che di intensità.
Poiché limitazione all’esercizio e attività fisica contribuiscono ad aggravare la malattia e sembrano essere predittori indipendenti di esiti negativi, si rende necessaria la loro valutazione sia in setting primari che in riabilitazione (PR).
I metodi di valutazione della limitazione all’esercizio sono test sul campo come il 6 minuts walk test (6MWT) e l’Incremental shuttle walk test (ISWT) entrambi facilmente somministrabili, con minime differenze clinicamente importanti (MCID) e buona capacità prognostica se eseguiti con la metodologia corretta. Il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) consente la misurazione di dati fisiologici e metabolici complessi e la loro interazione, permettendo l’identificazione di meccanismi alla base della limitazione. L’attività fisica utilizza misure soggettive ed oggettive (da preferire) come contapassi ed accelerometri che possano valutare quantità, intensità della attività e/o il grado di sedentarietà.
Diversi studi hanno dimostrato che la ridotta capacità di esercizio, valutata al CPET come V̇O2 di picco<593–654 mL·min−1, è un predittore altamente significativo di mortalità indipendente dal FEV1 e dall'età. Inoltre, le variabili che riflettono lo scambio gassoso polmonare come il nadir (V̇E)/(V̇CO2) ≥34 o lo slope V̇E/V̇CO2 ≥30 sono indicatori prognostici nella BPCO (2). Altri fattori, come la ridotta VE di picco ≤25,7 L·min−1, il decondizionamento, la disfunzione autonomica (recupero lento della frequenza cardiaca in 1 minuto (≤14 battiti) e anche la gravità dell'ipossiemia al picco dell'esercizio, sono associati a una scarsa sopravvivenza.
Anche il 6MWT e ISWT sono predittori prognostici e di mortalità (3): una distanza del 6MWT <350 m è associata a un rischio aumentato di ospedalizzazione; distanze fra 200-440 m predicono una mortalità specifica per cause respiratorie. Inoltre, una diminuzione progressiva della distanza al 6MWT e una desaturazione ripetuta nel tempo sono predittori indipendenti di mortalità. Per contro, BPCO che migliorano la loro distanza nel 6MWT di almeno 30 m dopo programma riabilitativo hanno una prognosi migliore rispetto ai pazienti che non hanno questo miglioramento (4). Una soglia <170 m dell’ISWT è associata a una mortalità più elevata. Al contrario, una variazione della distanza ISWT dopo PR di ≥50 m è associata a una sopravvivenza maggiore.
Molti studi hanno inoltre costantemente dimostrato il valore prognostico di livelli ridotti di attività fisica giornaliera nel rischio di esacerbazioni, ricoveri ospedalieri e mortalità per tutte le cause nella BPCO, al netto dei fattori confondenti più rilevanti. In particolare, una soglia <4000 passi al giorno sembra identificare pazienti con un rischio di mortalità aumentato (5). Anche la riduzione del livello di attività fisica dopo un'esacerbazione è un importante predittore di mortalità nell'anno successivo. Gli studi longitudinali che valutano la prognosi in base alla variazione dell’attività fisica sono limitati, ma i dati suggeriscono che bassi livelli prolungati di attività fisica o una diminuzione dell'attività fisica nel tempo sono correlati a un aumento del rischio di esacerbazioni e mortalità.
Il setting migliore per la valutazione dell’esercizio è rappresentato dalla riabilitazione respiratoria. Nella BPCO la limitazione all’esercizio è normalmente determinata dallo squilibrio fra la ridotta capacità ventilatoria (connessa alla limitazione del flusso e iperinsufflazione dinamica) e l’incremento delle richieste ventilatorie (correlato all’aumento del lavoro respiratorio, alla ventilazione dello spazio morto, all’insorgenza precoce di acidosi lattica). Il test da sforzo cardiopolmonare, identificando i meccanismi coinvolti nella limitazione all’esercizio, permette di migliorare l’impostazione del programma riabilitativo con lo scopo di ottenere le migliori performance in termini di allenamento aerobico. Ciò può essere ottenuto, ad esempio, utilizzando un broncodilatatore prima dell’allenamento per ridurre l’iperinsufflazione, o introducendo O2 terapia in caso di desaturazione, o facendo ricorso a NIV per ridurre l’ipercapnia e il carico muscolare, o anche adeguando la terapia in caso di ridotta risposta cardiovascolare.
Tra i molteplici benefici dei programmi di riabilitazione, forse il più apprezzato è il suo potenziale di ridurre la mortalità.
Limitazione all’esercizio ed inattività fisica sono entrambi correlati alla mortalità, ma l‘esercizio sembra avere un legame più stretto. Non è chiaro, invece, se sia il miglioramento dell'attività fisica o quello della forma fisica a portare un beneficio in termini di mortalità. Anche se non ci sono evidenza dirette, tuttavia, i risultati suggeriscono che l’attività fisica possa dare un contributo maggiore (6).
Conclusioni
La revisione affronta l’importanza della inattività fisica e la ridotta tolleranza allo sforzo come predittori prognostici e di mortalità in BPCO. Entrambe costituiscono treatable traits, ed è pertanto necessaria una corretta valutazione, principalmente in setting riabilitativi, per adeguare i programmi di allenamento in modo da massimizzare la capacità di esercizio, che sembra essere il fattore prognostico più importante in termini di mortalità. Guardando le cose dalla prospettiva di chi si occupa di riabilitazione respiratoria, ritengo che i due concetti siano strettamente correlati: massimizzare la capacità di esercizio avrà quindi sempre un valore limitato se essa non è associata a un successivo costante mantenimento dell’attività fisica. Per fare ciò servono strategie e strumenti in grado di migliorare l’attività fisica e ridurre la sedentarietà.
Bibliografia
1. Caspersen CJ, Powell KE, Christenson GM. Physical activity, exercise, and physical fitness: definitions and distinctions for health-related research. Public Health Rep 1985;100:126-31.
2. Da Luz Goulart C, Oliveira MR, Sendín FA, et al. Prognostic value of key variables from cardiopulmonary exercise testing in patients with COPD: 42-month follow-up. Respir Med 2022;197:106856.
3. Spruit MA, Polkey MI, Celli B, et al. Predicting outcomes from 6-minute walk distance in chronic obstructivepulmonary disease. J Am Med Dir Assoc 2012;13:291-7.
4. Camillo CA, Langer D, Osadnik CR, et al. Survival after pulmonary rehabilitation in patients with COPD: impact of functional exercise capacity and its changes. Int J Chron Obstruct Pulmon Dis 2016;11:2671-9.
5. Neumannova K, Novotna B, Kopecky M, et al. Association between number of steps and mortality in patients with severe chronic obstructive pulmonary disease. Eur Respir J 2017;50(Suppl. 61):PA4698.
6. Lindenauer PK, Stefan MS, Pekow PS, et al. Association between initiation of pulmonary rehabilitation after hospitalization for COPD and 1-year survival among medicare beneficiaries. JAMA 2020;323:1813-23.