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La dispnea o, meglio, la dispnea intrattabile, è non solo un sintomo cardine nel campo delle malattie respiratorie che porta il paziente all’attenzione dello Pneumologo, ma anche un sintomo talora talmente importante da rappresentare per il paziente un ostacolo alla vita quotidiana fino alle estreme conseguenze: il paziente non solo non riesce più sostanzialmente a muoversi, ma anche a riposo non ricava sollievo da nulla.
Partendo da questo punto, gli Autori (1) hanno valutato gli effetti sulla dispnea di un farmaco – la mirtazapina - che ha indicazioni per episodi di depressione maggiore. La mirtazapina è un antidepressivo di seconda generazione appartenente alla classe dei farmaci NaSSA (farmaci adrenergici serotoninergici specifici) che inibiscono i recettori centrali alfa2-adrenergici presinaptici, potenziando in questo modo il rilascio di noradrenalina e serotonina a livello sinaptico. 
La mirtazapina è inoltre un potente antagonista dei recettori H1 dell’istamina, da cui l’effetto sedativo del farmaco e il suo utilizzo nel trattamento dell’insonnia.
Perché gli Autori hanno testato questo farmaco? Partendo dall’assenza di trattamenti farmacologici della dispnea grave e invalidante (che essi quantificano in grado mMRC 3 e 4), essi riferiscono di alcuni studi che potrebbero far pensare a un’utilità della mirtazapina (come di altri antidepressivi) sul sintomo. In primo luogo, l’azione degli antidepressivi potrebbe modulare la sensazione respiratoria e la risposta ad essa anche in assenza di disturbi dell’umore, aumentando i livelli di alcuni neurotrasmettitori come ad esempio la serotonina nei centri respiratori e nell’amigdala. Inoltre, gli antidepressivi potrebbero prevenire e mitigare la sensazione di panico che spesso si accompagna alla dispnea incoercibile.
Il trial BETTER-B è di fase 3 internazionale, multicentrico, a gruppi paralleli, randomizzato con controllo placebo. Lo studio è stato condotto in 16 Centri (compreso uno italiano) in Inghilterra, Irlanda, Australia, Germania, Polonia, Nuova Zelanda. Utilizzando una randomizzazione trattamento: placebo 1:1, sono stati arruolati 225 pazienti (113 braccio attivo, 112 controllo) di cui il 55% con diagnosi di BPCO, e il restante 45% con diagnosi di interstiziopatia polmonare (ILD), età mediana 74 anni, per la maggioranza maschi. I pazienti trattati hanno assunto dosi crescenti di mirtazapina, dapprima 15 mg/die, poi a salire fino a 45 mg/die. Il tempo di trattamento era di 56 giorni (8 settimane). L’outcome primario era la diminuzione della dispnea a 56 giorni, e altri outcome erano la misurazione della dispnea a 7,14 e 28 giorni, la scala di ansietà e depressione (HAD), e altri legati allo stato fisico ed emotivo del paziente.
Il trial ha avuto un esito negativo. Non vi erano differenze per quanto riguarda nessuno degli outcome considerati tra il trattamento attivo e quello placebo. Non vi era nessuna differenza legata alla malattia di base o allo stato ansioso-depressivo. L’unica differenza significativa osservata era il maggior numero degli eventi avversi, anche maggiori che avevano avuto i pazienti trattati con mirtazapina (64% dei casi) rispetto ai controlli (40%).
Gli Autori concludono quindi che non vi è indicazione al trattamento con antidepressivi, e in questo caso con mirtazapina, in pazienti con BPCO o ILD che abbiano una grave dispnea. Rimane la necessità – sempre a giudizio degli Autori – di trovare un efficace trattamento farmacologico della dispnea.
Il trial clinico offre l’opportunità di discutere della dispnea e del suo trattamento.
In primo luogo, ricordiamo le definizioni di dispnea nel suo grado 3 e 4 della scala mMRC.
Il paziente dispnoico di grado 3 mMRC “ha necessità di fermarsi dopo aver camminato in piano per circa 100 metri o per pochi minuti”.
Il paziente dispnoico di grado 4 mMRC riferisce invece che il fiato gli manca “a riposo o per uscire di casa e per vestirmi/spogliarmi”.
Quindi il paziente di grado 3 mantiene, seppure a fatica e molto limitata, una certa autonomia, cosa che non è più vera nel paziente di grado 4.
Il trattamento farmacologico della dispnea è stato, ed è ancora, una specie di Santo Graal della gestione del paziente respiratorio. Ma come tutti gli approcci terapeutici va personalizzato e individualizzato. Cosa ci dice al riguardo il trial clinico sulla mirtazapina? Che la scelta di “mischiare” pazienti grado 3 con pazienti di grado 4, pur comprendendo le difficoltà di arruolamento, non è stata a mio parere ottimale. Nella popolazione in studio, infatti, la maggioranza dei pazienti (il 66%) era di grado 3, e ciò non sorprende visto che in maggioranza si trattava di outpatients. È evidente che una popolazione di grado 3 può rispondere diversamente al trattamento – ogni tipo di trattamento – rispetto a coloro che si trovano già in grado 4.
Ma ancora di più è la finalità del trattamento della dispnea ad essere diversa a seconda della storia clinica e della prognosi del paziente. Dal trial sono stati esclusi moltissimi pazienti preselezionati perlopiù per motivi clinici (pazienti già in terapia con antidepressivi, assenza di diagnosi di BPCO o ILD, dispnea mMRC 2 o inferiore a 2 etc.) ma anche per prognosi quo ad vitam talmente breve da non essere sicuri arrivassero a completare le 8 settimane di trattamento. Se è così, pare siano stati esclusi i pazienti seguiti da cure palliative (forse solo quelli valutati in Italia lo erano), cioè i pazienti per cui forse un trattamento farmacologico sarebbe stato ancora più necessario.
Perché per i restanti pazienti, specie di grado 3, sia BPCO che fibrotici, il trattamento della dispnea c’è già: è la Riabilitazione. Quindi a mio parere il trattamento farmacologico della dispnea ha un significato: 1) in Cure Palliative, ovvero quando la possibilità del paziente di partecipare a un programma di riabilitazione – in particolare di ri-allenamento allo sforzo - è fortemente limitata o addirittura esclusa dalle gravi condizioni (da notare che i protocolli palliativi prevedono l’impiego di oppiacei per modulare la dispnea), ovvero 2)  in aggiunta a un programma di riabilitazione con ri-allenamento all’endurance, alla forza, e dei muscoli respiratori come coadiuvante farmacologico della riduzione della dispnea da sforzo e della limitazione all’esercizio fisico, che si può ottenere con un trattamento NON farmacologico, cioè con la Riabilitazione.
La dispnea in pazienti BPCO o ILD è infatti sinonimo di intolleranza all’esercizio fisico, la cui genesi è complessa, derivando dalla complessa - e diversificata da paziente a paziente - interazione tra le alterazioni fisiopatologiche polmonari, della gabbia toracica, del circolo polmonare, dell’apparato cardiovascolare, della istopatologia, dell’alterata biochimica e funzione dei muscoli periferici; dalle alterazioni degli scambi dei gas, e anche dall’integrazione percettiva, quest’ultima caratteristica squisitamente individuale e particolarmente variabile da persona a persona, e anche nello stesso individuo da “momenti” di vita vissuti con percezioni diverse.
In un quadro così complesso, affrontare il trattamento della dispnea con un approccio farmacologico - ammesso che questo sia un giorno disponibile – potrebbe rappresentare addirittura una trappola, una scorciatoia per coprire e giustificare le carenze organizzative che permettono solo ad una piccola minoranza di pazienti che ne avrebbero indicazione di partecipare ad un programma di Riabilitazione.
Secondo un famoso aforisma: “C’è sempre una soluzione facile per ogni problema complesso: chiara, verosimile e sbagliata. (Henry Louis Mencken)”. E la Medicina è qualcosa di complesso, che non prevede scorciatoie.

Bibliografia
1. Higginson IJ, Brown ST, Oluyase AO, et al. Mirtazapine to alleviate severe breathlessness in patients with COPD or interstitial lung diseases (BETTER-B): an international, multicentre, double-blind, randomised, placebo-controlled, phase 3 mixed-method trial. Lancet Respir Med 2024;12:763-74.