- Pubblicazione il 22 Agosto 2024
Introduzione
Negli ultimi anni il drenaggio tunnellizzato (Indwelling Pleural Catheters – IPC) ha visto un sempre maggiore utilizzo nella gestione dei versamenti pleurici recidivanti, soprattutto in ambito oncologico. La buona tolleranza riferita dai pazienti, il basso tasso di complicanze (soprattutto lì dove è presenta un’adeguata gestione territoriale) e la possibilità di evitare toracentesi ripetute, ne hanno fatto una metodica indispensabile nell’ambito della gestione delle pleuropatie.
Un campo molto particolare all’interno del grande gruppo dei versamenti recidivanti è rappresentato dai pazienti sottoposti a trapianto di polmone.
Le origini di questa non rara complicanza possono essere le più varie, e vanno dalla flogosi post-operatoria alla lesione dei vasi linfatici, al rigetto acuto, fino a tutte quelle che sono le cause comuni con i pazienti non trapiantati.
In molti centri, tuttavia, l’uso di un device a lungo termine, che metta in diretta comunicazione l’ambiente esterno con il cavo pleurico di pazienti immunocompromessi, viene ad oggi considerato rischioso, rendendo tale metodica relativamente poco diffusa.
Lo studio, promosso dall’Interventional Pulmonary Outcomes Group (IPOG), si propone di valutare gli outcome sia in termini di esiti (in particolare la pleurodesi) che di complicanze (infettive e non) di un gruppo di pazienti sottoposto a trapianto di polmone (mono o bilaterale), con versamento pleurico recidivante sottoposti al posizionamento di un drenaggio tunnellizzato.
Metodi
Il presente lavoro è uno studio di coorte retrospettivo multicentrico condotto dal 1 Gennaio 2010 al 1 Giugno 2022 tra 8 istituzioni appartenenti all’IPOG.
Sono stati studiati tutti i pazienti con età superiore a 18 anni sottoposti a trapianto di polmone con versamento recidivante non maligno. Il versamento veniva considerato recidivante quanto era necessaria più di una toracentesi per la gestione dello stesso.
L’outcome primario era rappresentato dall’incidenza delle complicanze infettive: infezioni del cavo pleurico, del “tunnel” o del punto di inserzione. L’infezione del cavo pleurico era definita come: o positività all’esame colturale o alla colorazione di Gram o una conta di oltre 50.000 leucociti sul liquido pleurico.
L’outcome secondario era rappresentato dalla comparsa di complicanze non infettive come: dolore, emotorace, pneumotorace, perdita nel punto di inserzione o malfunzionamento del catetere.
Veniva inoltre studiata la presenza di autopleurodesi, definita come l’impossibilità di drenare liquido in almeno due occasioni nell’arco di 47 giorni, e imaging che mostrasse risoluzione del versamento senza l’utilizzo di sostanze sclerosanti intrapleuriche.
Inoltre sono stati studiati sia lo stato immunitario dei pazienti sia le caratteristiche del versamento che il comportamento del polmone dopo la toracentesi (polmone espandibile vs. polmone intrappolato).
Risultati
Sono stati valutati 3.281 interventi di trapianto polmonare. Di questi, 61 pazienti erano stati sottoposti a posizionamento di drenaggio tunnellizzato, e 10 tra questi a una procedura bilaterale di posizionamento di IPC, per un totale di 71 procedure. L’età media era di 65 anni, e 55 di loro (77%) erano stati sottoposti a trapianto bilaterale. Per quanto riguarda il tempo del posizionamento, la mediana era di 59 giorni dal trapianto (IQR: 40-203), mentre il tempo di permanenza era di 43 giorni (IQR 25-88). La maggior parte dei drenaggi (89%) veniva rimossa per autopleurodesi e solo 3 (4%) per complicanze infettive. In nessun caso è stata necessario ricorrere alla decorticazione chirurgica.
All’atto della prima toracentesi 40 polmoni (56%) sono risultati espandibili, solo 6 (8%) venivano considerati “intrappolati”, mentre di 25 polmoni (35%) non è noto il comportamento.
Per quanto attiene le complicanze, queste si sono verificate in soli 8 casi (11%): 5 infezioni, 2 occlusioni/malfunzionamento del drenaggio, un leakage e un caso di dolore toracico intenso.
In particolare, per quanto riguarda le complicanze infettive, venivano segnalati 4 casi di empiema e una sola infezione del tunnel. I microrganismi isolati erano: Stafilocco coagulasi-negativo (in 2 casi), E. faecalis e un caso di C. Albicans. In tre casi si procedeva a rimozione del drenaggio (2 empiemi e l’infezione del tunnel), e tutti i pazienti venivano trattati con successo mediante terapia antibiotica specifica. In nessun caso le emocolture, eseguite in tutti i 5 casi, risultavano positive.
Per quanto attiene le caratteristiche del versamento, i pazienti che sviluppavano complicanze mostravano un più basso rapporto delle proteine totali tra versamento e siero (0,24 vs 0,50, p< 0.01) e avevano minore probabilità di avere un versamento essudativo (38% vs 62%), senza tuttavia raggiungere la significatività statistica (p: 1).
Per quanto riguarda le tempistiche, sembra esservi la tendenza a un maggior rischio di complicanze nei pazienti sottoposti a posizionamenti più tardivi (media 87 giorni vs 58, p: 0.38), mentre i giorni totali di permanenza del device non sembravano influire sul tasso di complicanze (80 giorni vs 41 giorni, p: 0.22).
Tipo di drenaggio, sede e fisiologia della pleura (espandibili vs trapped-lung) non sembravano avere alcuna influenza sugli outcome.
Conclusioni
Lo studio appare molto interessante perché va a valutare l’utilizzo di un device come il drenaggio tunnellizzato in gruppo di pazienti molto particolare come quello dei sottoposti a trapianto di polmone.
I lavori nei quali l’argomento viene trattato sono relativamente pochi e con un ridotto numero di soggetti arruolati (Vakil et al. 2010), soprattutto se confrontati con altre popolazioni.
Walker et al., in uno studio nel quale l’IPC veniva confrontato con la toracentesi in un gruppo di 220 pazienti con versamento pleurico benigno recidivante, rilevavano un tasso di infezione del 3%.
In un grande studio, su 1318 pazienti in terapia antineoplastica con versamento pleurico maligno, Wilshire et al. evidenziavano un tasso di infezioni del 6-7%. Dati simili veniva riportati da Faiz et al., che in studio monocentrico del 2017 sull’uso dell’IPC in pazienti ematologici, segnalavano un tasso di complicanze del 13.4%, dove le infezioni rappresentavano il 6%.
In ambito trapiantologico Skalski et al., in uno studio caso-controllo del 2016 su 19 pazienti sottoposti a trapianto solido con versamento cronico, riferivano un tasso di complicanze infettive dell’11%, senza tuttavia rilevare differenze significative rispetto al gruppo di controllo di 55 pazienti non sottoposti a trapianto.
Appare quindi evidente come il tasso di complicanze in generale (e infettive in particolare) nel presente studio sia paragonabile a quello descritto in altre popolazioni di pazienti immunocompromessi, rendendo l’uso dei drenaggi tunnellizzati un’utile opzione terapeutica in questa specifica popolazione, e che l’assoluta controindicazione a questi ultimi non appare giustificata.
A questo dato di sicurezza va aggiunto l’alto tasso di autopleurodesi (85%), che tuttavia potrebbe essere sovrastimato sia dal lungo follow-up (è possibile che un numero significativo di tali versamenti sarebbe andato in autopleurodesi anche in assenza del drenaggio) che da un possibile bias di selezione, dovuto alla scelta di posizionare un IPC nei pazienti con segni “a priori” di polmone espandibile.
Per quanto riguarda il timing, i migliori risultati sono ottenuti quando la media di permanenza del device era di 41 giorni, un tempo significativamente inferiore a quello solitamente descritto in altre popolazioni.
Lo studio, seppur interessante, presenta alcuni limiti.
Il primo, e più evidente, è quello connaturato alla sua natura retrospettiva, in particolare per quanto attiene i bias di selezione della popolazione nel posizionamento del drenaggio, in assenza di un qualsiasi gruppo di controllo.
Nello studio manca poi una standardizzazione dei tempi di posizionamento del drenaggio o del numero di toracentesi effettuate (nei criteri di inclusione era sufficiente averne eseguite più di una) e non viene riportata in alcun modo l’impatto che la procedura ha su sintomi o qualità della vita dei pazienti.
Da ultimo, non risulta possibile escludere una certa eterogeneità nella raccolta dati da centro a centro.
Altro limite è una certa difficoltà nel generalizzarne i dati, vista la natura altamente selezionata dei pazienti studiati e la gestione degli stessi in centri con elevata esperienza in ambito trapiantologico, chirurgico ed interventistico.
In conclusione, pur con tutti i limiti appena descritti, lo studio appare interessante sia perché mostra come il posizionamento di drenaggi tunnellizzati in pazienti immunocompromessi sia apparentemente una procedura sicura, sia perché apre la possibilità di futuri studi di natura prospettica.
Bibliografia
1. Faiz SA, Pathania P, Song J, et al. Indwelling pleural catheters for patients with hematologic malignancies. A 14-year, single-center experience. Ann Am Thorac Soc 2017;14:976-85.
2. Maldonado F, Yarmus L. Pragmatic studies in interventional pulmonology: two steps forward, one step back, but an imminent leap forward introducing IPOG, the Interventional Pulmonary Outcome Group. J Bronchology Interv Pulmonol 2019;26:150-2.
3. Skalski JH, Pannu J, Sasieta HC, et al. Tunneled indwelling pleural catheters for refractory pleural effusions after solid organ transplant: a case-control study. Ann Am Thorac Soc 2016;13:1294-8.
4. Vakil N, Su JW, Mason DP, et al. Allograft entrapment after lung transplantation: a simple solution using a pleurocutaneous catheter. Thorac Cardiovasc Surg 2010;58:299-301.
5. Wilshire CL, Chang SC, Gilbert CR, et al. Association between tunneled pleural catheter use and infection in patients immunosuppressed from antineoplastic therapy: a multicenter study. Ann Am Thorac Soc 2021;18:606-12.