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La gestione del Versamento Pleurico Maligno (VPM) è una campo di significativo rilievo per la sua prevalenza, per l’importanza dei sintomi da gestire e per la prognosi generalmente sfavorevole di questi pazienti. Una gestione efficiente è della massima importanza per ottimizzare l’utilizzo delle risorse sanitarie e per migliorare la qualità della vita di questi pazienti.
Non esiste un unico approccio per gestire il VPM ricorrente. Due dei metodi più utilizzati sono la pleurodesi chimica (talcaggio slurry o poudrage) e l’inserimento di un catetere pleurico a permanenza. Le linee guida pubblicate in questo ambito (1) suggeriscono di affrontare le scelte di gestione in relazione a vari fattori relativi al paziente (prognosi, caratteristiche e preferenze) e alla struttura (competenze e disponibilità).
Negli ultimi anni il posizionamento di cateteri pleurici a permanenza ha trovato crescente applicazione, anche in ragione della sua semplicità (2). In assenza di precedenti raccomandazioni specifiche sulla gestione dei cateteri pleurici a permanenza, nel luglio 2020 l’American Association for Bronchology and Interventional Pulmonology (AABIP) ha pubblicato un documento che, dopo analisi della letteratura esistente, intende fornire raccomandazioni sui vari aspetti dell’utilizzo di questi cateteri successivi all’inserimento: frequenza di drenaggio, gestione dei problemi e delle infezioni associate, follow-up. Le linee guida sono state scritte da un panel in cui erano presenti 14 pneumologi interventisti selezionati anche in ragione delle loro pubblicazioni specifiche sull’argomento.
Le seguenti raccomandazioni si riferiscono dunque alla gestione di versamenti pleurici maligni noti o sospetti nei quali sia stato posizionato un drenaggio pleurico a permanenza.

Raccomandazioni n. 1 e 2

Il programma di svuotamento del cavo nei pazienti deve essere individualizzato. Se oltre al controllo dei sintomi si intende conseguire la pleurodesi e rimuovere il catetere, è raccomandato di drenare il liquido pleurico quotidianamente. Quando invece la pleurodesi e la rimozione del catetere sono improbabili o non sono considerate importanti, è appropriato programmare svuotamenti meno frequenti oppure basati sui sintomi. Svuotamenti “aggressivi” possono provocare disagio in alcuni pazienti; in questo caso è consigliabile programmarli con minor frequenza. 

Raccomandazione n. 3

Anche in assenza di problemi legati al catetere, dovrebbe essere offerto al paziente un follow-up clinico regolare con un professionista esperto nella gestione di cateteri pleurici a permanenza; la frequenza degli accessi dovrebbe essere decisa individualizzandola sul paziente stesso.

Raccomandazione n. 4

Qualora a causa di un catetere pleurico non funzionante si accumulasse liquido pleurico e il paziente diventasse sintomatico, è suggerito il lavaggio del catetere stesso con soluzione fisiologica per risolvere l’ostruzione. Se la manovra non si rivelasse efficace e in assenza di controindicazioni è consigliato il tentativo di instillare fibrinolitici tramite il catetere per ripristinare il flusso.

Raccomandazione n. 5

In caso di sospetta infezione dello spazio pleurico correlata al catetere, è suggerito il campionamento del liquido pleurico per effettuare esami microbiologici e guidare la terapia antibiotica. Il metodo ottimale per ottenere il liquido pleurico (se mediante toracentesi o direttamente dal catetere pleurico a permanenza) non è chiaro e richiede ulteriori studi.

Raccomandazione n. 6

In caso di cellulite associata al catetere o di infezioni nel punto di inserzione del catetere stesso, è appropriato prescrivere un ciclo di antibiotici per via orale che coprano i comuni patogeni della cute. La rimozione del catetere si rende necessaria solo in caso di fallimento della terapia antibiotica. Le infezioni del punto di inserzione si distinguono da quelle del tunnel perché in quest’ultime i segni di flogosi si propagano lungo il tramite per oltre 2 cm dal punto di inserzione.

Raccomandazione n. 7

Il cavo pleurico si considera infetto quando ricorre una di queste tre condizioni: 1) fuoriuscita di pus franco; 2) presenza di sintomi di infezione con contestuale positività microbiologica del liquido pleurico; 3) presenza di sintomi di infezione con contestuale analisi chimico-fisica del liquido indicativa di infezione (pH basso, LDH alte o glucosio basso). Nei pazienti che sviluppano un’infezione dello spazio pleurico correlata al catetere in assenza di una concomitante infezione del tunnel è suggerito un tentativo di drenare il liquido attraverso il tubo piuttosto che rimuoverlo immediatamente. La decisione di ricoverare il paziente o gestirlo ambulatorialmente deve essere presa caso per caso.

Raccomandazione n. 8

Nei pazienti che sviluppano un’infezione dello spazio pleurico correlata al catetere e in cui il drenaggio continuo sia insufficiente è raccomandata l’instillazione di fibrinolitici e DNasi attraverso il catetere per favorire la fuoriuscita del liquido e l’eliminazione dell’infezione. Sebbene infatti la chirurgia sia uno strumento efficace per sterilizzare il cavo pleurico, i pazienti portatori di catetere a permanenza non sono generalmente candidabili ad intervento.

Considerazioni generali

Lo scopo principale dei cateteri pleurici a permanenza è la palliazione dei sintomi, con miglioramento della qualità di vita e riduzione degli interventi e degli accessi alle strutture sanitarie. In alcuni casi, un secondo obiettivo può essere quello di conseguire la pleurodesi e rimuovere il catetere stesso; il raggiungimento di questo risultato è influenzato dalla frequenza degli svuotamenti. In presenza di polmoni non in grado di espandersi, il raggiungimento della pleurodesi è improbabile.
Il ridursi di quanto drenato dal catetere può indicare che si è verificata una pleurodesi efficace oppure che lo spazio pleurico è scarsamente drenante; se peggiora la dispnea e aumenta il versamento all’imaging è verosimile questo secondo scenario (cateteri non drenanti nel contesto di un riaccumulo di liquido pleurico sintomatico si verificano nel 5-14% dei pazienti (3, 4)). Un’improvvisa interruzione del drenaggio rispetto a precedenti volumi maggiori suggerisce un malfunzionamento del catetere, che nella maggior parte dei casi è determinato da un’occlusione di fibrina. Altre complicanze segnalate sono le rotture del catetere e la migrazione fuori dallo spazio pleurico. Tuttavia, quando la riduzione della quantità di liquido drenato è più graduale (nel contesto di un versamento persistente o in incremento), è probabile che il quadro sia correlato all’aumento della viscosità del liquido, alla scarsa comunicazione di esso con il catetere a causa di loculazioni oppure ad ostruzione parziale del catetere.
Le linee guida non raccomandano un agente fibrinolitico rispetto ad un altro.
La colonizzazione batterica del tubo non è infrequente e la positività di una coltura non è sufficiente di per sé per indicare un’infezione del cavo pleurico; per questa ragione, alcuni autori consigliano di campionare il liquido a fine microbiologico con una toracentesi, mentre altri ritengono che nel contesto clinico suggestivo sia appropriato anche il campionamento attraverso il tubo.

Bibliografia

  1. Feller-Kopman DJ, Reddy CB, DeCamp MM, et al. Management of malignant pleural effusions. An official ATS/STS/STR clinical practice guideline. Am J Respir Crit Care Med 2018;198:839-49.
  2. Davies HE, Mishra EK, Kahan BC, et al. Effect of an indwelling pleural catheter vs chest tube and talc pleurodesis for relieving dyspnea in patients with malignant pleural effusion: the TIME2 randomized controlled trial. JAMA 2012;307:2383-9.
  3. Thomas R, Piccolo F, Miller D, et al. Intrapleural fibrinolysis for the treatment of indwelling pleural catheter-related symptomatic loculations: a multicenter observational study. Chest 2015;148:746-51.
  4. Lui MM, Thomas R, Lee YC. Complications of indwelling pleural catheter use and their management. BMJ Open Respir Res 2016;3:e000123.