- Pubblicazione il 21 Gennaio 2015
Questa volta ci occupiamo di un problema ai confini fra l'oncologia e quindi la medicina, e l'etica. Mi sembra interessante perché solleva anche delle implicazioni pratiche molto importanti. Cominciamo con ordine. Gli scienziati del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center hanno creato un modello statistico che misura la percentuale di incidenza del cancro in diversi tipi di tessuto. Alcuni tessuti sono soggetti a cancro negli esseri umani un milione di volte più frequentemente di altri. Anche se questo è noto da più di un secolo, non è mai stato spiegato. Tuttavia, nel loro lavoro, ora i ricercatori dimostrano che il rischio di sviluppare tumori di diversi tipi è fortemente correlato con il numero totale delle divisioni delle normali cellule staminali durante il normale auto-rinnovamento ed il mantenimento dell'omeostasi del tessuto.
I risultati suggeriscono che solo un terzo dell’aumento del rischio di cancro in un tessuto è attribuibile a fattori ambientali od a predisposizioni ereditarie. La maggior parte è dovuto alla “sfortuna”, cioè, a mutazioni casuali durante la replicazione del DNA in cellule staminali normali, non tumorali. Questo è importante non solo per la comprensione della malattia, ma anche per la progettazione di strategie per limitare la mortalità.
Nel loro lavoro pubblicato su Science, Tomasetti e Vogelstein cominciano dalla ricerca nella letteratura scientifica sul numero totale di divisioni di cellule staminali in 31 tipi di tessuto durante la vita di un individuo medio.
Era ben noto, osservano gli AA, che il cancro si verifica quando le cellule staminali tessuto-specifiche fanno mutazioni casuali. Quanto più queste mutazioni si accumulano, più alto è il rischio che le cellule crescano senza controllo, tipico segno distintivo di degenerazione neoplastica. L’effettivo contributo di queste mutazioni casuali sull’incidenza del cancro, rispetto al contributo di fattori ereditari o ambientali, non era noto in precedenza.
Per comprendere il ruolo di tali mutazioni casuali nel rischio di cancro, gli scienziati del Johns Hopkins hanno identificato il numero di divisioni cellulari staminali in 31 tessuti e confrontato questi dati con il rischio di cancro negli stessi tessuti tra gli americani. Da questa mole di dati, Tomasetti e Vogelstein hanno determinato che la correlazione tra il numero totale di divisioni cellulari staminali ed il rischio di cancro è 0,804. Matematicamente, più questo valore è vicino alla unità, più le divisioni cellulari staminali ed il rischio di cancro sono correlati.
Ad esempio il tessuto del colon subisce quattro volte più divisioni cellulari staminali dell'’intestino tenue nell’uomo. Allo stesso modo, il cancro del colon è molto più diffuso di quanto non sia quello del tenue.
Utilizzando l’analisi statistica, il dato indica la quantità di variazione del rischio di cancro. Questo può essere spiegato con il numero di divisioni cellulari staminali, che è dello 0,804 quadrato, o, in percentuale, circa il 65%.
Infine, hanno classificato i tipi di tumori che hanno studiato in due gruppi. Essi hanno statisticamente calcolato che i vari tipi di cancro hanno avuto un’incidenza prevista correlata con il numero di divisioni cellulari staminali. Essi hanno scoperto che 22 tipi di cancro potrebbero essere in gran parte spiegati con il fattore “sfortuna” (mutazioni del DNA casuali durante la divisione cellulare). Gli altri 9 tipi di cancro hanno avuto incidenza maggiore di quanto previsto dalla “sfortuna” e questo va spiegato con la combinazione di sfortuna, più fattori ambientali o ereditari.
Hanno scoperto che i tipi di cancro che avevano rischio di svilupparsi maggiore di quanto prevedibile in base al solo numero di divisioni cellulari staminali erano proprio quelli che ci si aspettava. Tra questi il cancro del polmone, legato al fumo, il cancro della pelle, legato all’esposizione al sole, e le forme dei tumori associati a sindromi ereditarie.
Questo studio dimostra che è possibile aggiungere al rischio di sviluppare tumori fumo correlati o ad altri fattori di stile di vita, anche una componente autonoma. Tuttavia, molte forme di cancro sono dovute in gran parte alla sfortuna di acquisire una mutazione in un gene in grado di sviluppare un cancro indipendentemente da fattori di stile di vita e di ereditarietà. Il modo migliore per sradicare questi tumori rimane la diagnosi precoce, quando ancora sono curabili con la chirurgia.
Gli AA non hanno inserito alcuni tipi di cancro, come il cancro al seno e alla prostata, nel rapporto a causa della loro incapacità di trovare tassi di divisione delle cellule staminali affidabili nella letteratura scientifica. Lo studio, che ha ricevuto una vasta diffusione mediatica, confronta il numero di divisioni cellulari staminali in una vasta gamma di tessuti a rischio di cancro durante la vita e suggerisce che le mutazioni casuali (o “sfortuna”) sono i maggiori contributori allo sviluppo di cancro, spesso più importanti della componente ereditaria o dei fattori ambientali esterni.
Per correttezza va sottolineato come queste affermazioni abbiano sollevato reazioni vivaci: esponenti dell’IARC sottolineano le gravi contraddizioni con le evidenze epidemiologiche, nonché un certo numero di limiti metodologici e pregiudizi nell’analisi presentata nella relazione. Concludere infatti che la “sfortuna” è la principale causa di cancro potrebbe essere fuorviante e può sminuire gli sforzi per identificare le cause della malattia e prevenirla efficacemente.
Gli ultimi cinque decenni di ricerca epidemiologica internazionale hanno dimostrato che la maggior parte dei tumori che sono frequenti in una popolazione sono relativamente rari in un’altra e che questi modelli sono costanti nel tempo. Ad esempio, il cancro esofageo è comune tra gli uomini in Africa orientale, ma raro in Africa occidentale. Il cancro colon rettale, una volta raro in Giappone, è aumentato di 4 volte nell’incidenza in soli due decenni. Queste osservazioni sono caratteristiche di molti tumori comuni e sono coerenti con un importante contributo di esposizioni ambientali e di stile di vita, al contrario di quanto sostenuto dalle ipotesi di variazione genetica o possibilità casuale (“sfortuna”).
Inoltre, gli esperti IARC identificano diversi limiti nella relazione stessa. Questi includono l’enfasi sui tumori molto rari (ad es osteosarcoma, medulloblastoma) che insieme costituiscono solo una piccola quota nel novero totale delle neoplasie. Il rapporto esclude inoltre, a causa della mancanza di dati, cancri comuni per i quali l’incidenza è sostanzialmente diversa tra le popolazioni e nel corso del tempo. Quest’ultima categoria comprende alcuni dei tumori più frequenti in tutto il mondo, per esempio quelli dello stomaco, della cervice uterina e del seno.
Inoltre, lo studio si concentra esclusivamente sulla popolazione degli Stati Uniti come misura del rischio di vita. Il confronto delle diverse popolazioni avrebbe dato risultati diversi.
Anche se è da tempo noto che il numero di divisioni cellulari aumenta il rischio di mutazione e, quindi, di cancro, la maggior parte dei tumori più comuni che si verificano in tutto il mondo sono fortemente correlati alle esposizioni ambientali ed allo stile di vita. In linea di principio, quindi, questi tumori sono prevenibili; sulla base delle conoscenze attuali, quasi la metà di tutti i casi di cancro in tutto il mondo può essere prevenuta. Questo è supportato in pratica da prove scientifiche rigorose, dimostrando diminuzioni di incidenza del cancro dopo interventi preventivi. Tipici esempi sono le riduzioni nei tassi di cancro al polmone e altri tumori legati al tabacco dopo la riduzione del fumo e calo dei tassi di carcinoma epatocellulare tra le persone vaccinate contro il virus dell'epatite B.
In realtà gli AA concludono che per molti tipi di cancro, è necessaria una maggiore attenzione alla diagnosi precoce della malattia piuttosto che alla prevenzione della sua comparsa. Se male interpretata, questa posizione potrebbe avere gravi conseguenze negative sia sulla ricerca sul cancro che sulle prospettive di salute pubblica.
Il ritorno, in qualche modo, alla casualità dell’evento malattia ci porta a riflettere sulla fallacità della scienza medica. E’ questo un ritorno al Medio Evo o pone l’accento su una maggiore consapevolezza dei nostri limiti? La riduzione delle risorse può condizionare atteggiamenti fatalistici e meno onerosi sul piano della prevenzione? Sono tutti interrogativi aperti da questo interessante studio che costituirà materia di riflessione per molti di noi.