- Pubblicazione il 08 Novembre 2019
Dagli studi di fase 3 è emerso che non tutti i pazienti ricevono lo stesso beneficio dal trattamento con i farmaci immunoterapici, pur in presenza di alta espressione di PD-L1. Ad oggi non si conoscono i meccanismi di resistenza. Tuttavia, dati preclinici indicano che, talvolta, la composizione delle cellule del sistema immunitario che infiltrano il microambiente tumorale può interferire con l’efficacia dei farmaci immunoterapici. In particolare, una ridotta presenza di cellule T CD8 (responsabili dell’attivazione dei meccanismi in grado di eliminare le cellule tumorali), una ridotta espressione di molecole del complesso maggiore di istocompatibilità - MHC (che favoriscono il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario), o la presenza di cellule T regolatorie (che spengono la risposta immunitaria) possono rendere il tumore poco immunogenico. La chemioterapia, quando viene somministrata in concomitanza con l’immunoterapia, ha la capacità di modificare il microambiente, creando un locus in grado di trasformare il tumore da non immunogenico in immunogenico e ciò aumenta l’efficacia sia della chemioterapia che dell’immunoterapia.
Il carcinoma polmonare squamoso non a piccole cellule (NSCLC) rappresenta circa il 20-30% di tutti i tumori polmonari ed è associato ad una sopravvivenza più breve in relazione alla mancanza di aberrazioni targettabili. Ciò significa che il trattamento per il NSCLC squamoso è principalmente limitato alla chemioterapia citotossica. Negli ultimi tempi, la combinazione dell’inibitore del recettore del fattore di crescita epidermica necitumumab più chemioterapia con gemcitabina e cisplatino in prima linea per il trattamento del NSCLC squamoso ha significativamente prolungato la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia da sola. Per determinare se l’aggiunta dell’inibitore PD-1 pembrolizumab alla chemioterapia a base di platino migliora i risultati in pazienti con NSCLC ad istologia squamosa con qualsiasi livello di espressione PD-L1, è stato condotto uno studio globale, in doppio cieco, controllato con placebo, fase 3 (studio KEYNOTE-407) che ha confrontato pembrolizumab 200 mg più chemioterapia (carboplatino AUC 6 più paclitaxel o nanoparticelle legate all’albumina [nab]-paclitaxel) per quattro cicli ogni 21 gg, seguiti da 31 cicli di pembrolizumab 200 mg ogni 21 gg fino a progressione di malattia (p.d.) verso placebo più chemioterapia (carboplatino e paclitaxel o nab-paclitaxel) per quattro cicli ogni 21 gg e in relazione a PD 35 cicli di pembrolizumab. Sono stati arruolati 559 pazienti non trattati, con NSCLC IV stadio ad istologia squamosa, con ECOG- PS 0-1, con assenza di metastasi cerebrali sintomatiche e di polmoniti trattate con steroidi sistemici. I fattori di stratificazione sono stati: l’espressione di PD-L1: con Tumor Progression Score (TPS) < 1% vs TPS ≥ 1%, scelta del taxano (paclitaxel vs nab-paclitaxel), regione geografica (Asia dell’Est vs non Asia dell’Est).
Endpoint primari: la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS).
Endpoint secondari: percentuale di risposta obiettiva (ORR), qualità della vita e sintomi quali tosse, dolore toracico e dispnea.
Risultati dello studio
Dopo un follow-up mediano di 7,8 mesi, la sopravvivenza globale mediana è stata di 15,9 mesi nel gruppo arruolato con la combinazione pembrolizumab + chemioterapia e 11,3 mesi nel gruppo arruolato con la combinazione placebo + chemioterapia. Il beneficio della sopravvivenza globale era omogeneo indipendentemente dal livello di espressione di PD-L1. La mediana di sopravvivenza libera da progressione è stata di 6,4 mesi nel gruppo con la combinazione pembrolizumab + chemioterapia verso 4,8 mesi nel gruppo con la combinazione placebo + chemioterapia. La percentuale di risposte obiettive è stata maggiore nel gruppo con immunoterapia + chemioterapia. Il vantaggio della PFS e della ORR è risultato anch’esso indipendente dall’espressione di PD-L1. Nel 69,8% dei pazienti si sono verificati eventi avversi di grado 3 o superiore nel gruppo di combinazione pembrolizumab + chemioterapia e nel 68,2% dei pazienti nel gruppo placebo + chemioterapia. L’interruzione del trattamento a causa di eventi avversi è stata più frequente nel gruppo di associazione pembrolizumab + chemioterapia rispetto alla combinazione del gruppo chemioterapia + placebo (13,3% vs 6,4%). I pazienti arruolati con pembrolizumab + carboplatino e paclitaxel o nab-paclitaxel hanno mantenuto o migliorato la qualità della vita ed hanno mostrato un miglioramento nel tempo della tosse, del dolore toracico e della dispnea rispetto ai pazienti arruolati con chemioterapia + placebo.
Gli eventi avversi immuno-mediati erano più frequenti nel braccio con pembrolizumab + chemioterapia, con una frequenza e una gravità coerenti con quelle osservate per la monoterapia con pembrolizumab.
Commenti
I risultati positivi dello studio KEYNOTE-407 sia per il vantaggio dell’OS che della PFS suggeriscono che pembrolizumab + carboplatino e paclitaxel o nab-paclitaxel dovrebbero diventare un nuovo standard di cura per il trattamento di prima linea del NSCLC metastatico, indipendentemente dall’espressione di PDL1. Bisogna inoltre sottolineare che l’associazione chemioterapia + immunoterapia ha dato vantaggi sull’OS, sulla PFS e sull’ORR, indipendente dalla % del TPS.
Altra considerazione positiva dello studio KEYNOTE-407 è il vantaggio ottenuto dall’associazione immunoterapia + chemioterapia sul miglioramento di alcuni outcome quali: qualità della vita, tosse, dolore toracico e dispnea.
Anche nello studio KEYNOTE-407, così come nello studio KEYNOTE-042, sono stati arruolati pazienti con NSCLC IV stadio, con esclusione dei NSCLC localmente avanzati inoperabili.
Bibliografia di riferimento
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