- Pubblicazione il 28 Febbraio 2019
A distanza di un anno dalla pubblicazione delle linee guida ERS per la standardizzazione del test di provocazione bronchiale con metacolina, sono state pubblicate le raccomandazioni per i test di stimolazione bronchiale indiretti. Questi test, sicuramente sottoutilizzati, rappresentano un modo diverso di arrivare alla diagnosi di asma e non si propongono di sostituire il test con metacolina, ma di integrarlo. Prima di entrare nel vivo delle raccomandazioni va ricordato che, mentre la metacolina è un test ad alta sensibilità, quindi un test che, quando negativo, permette di escludere con buona certezza la diagnosi di asma bronchiale, i test di stimolazione indiretta sono test più specifici e meno sensibili. La loro positività rappresenta un forte fattore predittore per la diagnosi di asma, più del test con metacolina, la cui positività può essere riscontrata in altre patologie.
Lo stimolo più studiato per indurre broncospasmo in modo indiretto è certamente l’esercizio fisico. La popolazione target di questo test è rappresentata da giovani adulti o atleti che lamentano dispnea o broncospasmo in corso di esercizio fisico (EIB). Non sempre vi è sovrapposizione tra questo test e il test con metacolina che può risultare anche negativo in pazienti con EIB diagnosticato. Anche in questo caso, prima del test, vanno sospesi i farmaci broncodilatatori, ma a differenza del test con metacolina, vanno sospesi anche i corticosteroidi inalatori da almeno 6-24 ore (in base al tipo di molecola) in quanto possono avere un ruolo protettivo. Infatti la severità dell’EIB, ma non il livello di iperreattività bronchiale, è correlata in modo piuttosto evidente con alcuni mediatori dell’infiammazione tipica degli asmatici (leucotrieni, mastociti, eosinofili). L’esercizio fisico, mobilizzando grandi volumi di aria all’interno delle vie aeree, determina uno stimolo osmotico volto a umidificare l’aria stessa, stimolo che a sua volta richiama mediatori infiammatori nelle vie aeree. Essendo uno stimolo meno graduale rispetto alla metacolina, si raccomanda di non eseguire il test in soggetti con FEV1 basale < 70% del predetto, criterio che vale per tutti i test qui descritti. La procedura può essere eseguita sia su tappeto elastico che in bicicletta e deve seguire un protocollo ben preciso perché lo stimolo broncocostrittore venga raggiunto. Si stima che entro due minuti dall’inizio del test il paziente debba raggiungere una ventilazione di almeno il 60% del suo MVV o in alternativa una FC pari a 85% della massima teorica (220 – età). Raggiunto questo target il paziente deve continuare l’esercizio a plateau per almeno 4-6 minuti. Al termine del test vengono eseguiti dei test spirometrici a diversi minutaggi ed almeno fino a 30 minuti dalla fine dell’esercizio. Il test viene considerato positivo se si osserva una caduta del FEV1 di almeno il 10%.
A fianco a questo test si pone il più semplice test di ventilazione isocapnica (EVH) che non richiede lo sforzo fisico, ma solo di respirare attraverso un sacco di aria secca medicale arricchita di CO2 per evitare i fastidiosi problemi creati dall’ipocapnia. Il paziente viene invitato a respirare forzatamente tra il 60 e l’85% del MVV per almeno 6 minuti. Il test risulterà positivo seguendo gli stessi criteri del test precedente e può essere eseguito anche con aria fredda per simulare lo sport in ambienti estremi o di montagna, ma anche per aumentare la sensibilità e la specificità del test dato che l’aria fredda estremizza lo stimolo osmotico che ricevono i bronchi.
A fianco di questi test in cui il paziente iperventila a riposo o in corso di esercizio, vi sono altri test indiretti ad andamento incrementali, più simili per tecnica di esecuzione al test con metacolina. Questi test sfruttano sempre degli stimoli osmotici sulla mucosa del bronco per indurre broncocostrizione.
Il primo ad essere descritto è il test con soluzione salina ipertonica al 4,5% che viene inalata attraverso un nebulizzatore ultrasonico per tempi sempre più lunghi (30sec, 1,2,4,8 minuti) o sino a che non si osservi una caduta del FEV1 basale di almeno il 15%. Questa tecnica permette di raccogliere anche un campione di espettorato indotto per caratterizzare il tipo di infiammazione presente e trova spazio soprattutto nei setting di ricerca o in ambito pediatrico.
Altro test descritto è il test con il mannitolo che viene erogato attraverso un inalatore di polvere secca a dosaggio crescente fino ad una dose cumulativa di 635mg in diversi step o comunque fino alla caduta del FEV1 di almeno il 15%. Il vantaggio di questo test è di avere allo stesso tempo dei discreti valori di sensibilità e specificità verso la diagnosi di asma. Sulla stessa linea si pone il test con adenosina che tuttavia ha una standardizzazione meno semplice dato che il farmaco può essere inalato con diversi inalatori e dosimetri determinando la necessità di variare anche le concentrazioni di farmaco erogate. In questo caso la positività del test si ottiene con una caduta di almeno il 20% del FEV1 basale. Rispetto al documento del 2003, alcuni test di stimolazione farmacologici sono stati tralasciati senza un motivo particolare, ma forse perché applicabili in setting quasi esclusivi di ricerca e di relativo interesse clinico.
A conclusione di questa mia recensione, pongo il quesito che tutti si saranno posti se arrivati a leggere fino a qui. Ma quando vanno utilizzati questi test indiretti nella pratica clinica?
Ovviamente non possono essere il primo step o un esame per tutti i pazienti nell’algoritmo diagnostico dell’asma, ma credo che in quei pazienti con clinica suggestiva per asma, ma con test con metacolina negativo (e sabbiamo bene che non sono pochi) possano trovare una applicazione più che ovvia nel confermare o confutare l’assenza di una diagnosi di asma bronchiale. Inoltre, dato che rispecchiano molto di più lo stato infiammatorio del bronco, rispetto al test con metacolina, come già detto in precedenza, possono rappresentare un modo per monitorare l’efficacia di una terapia (es. con cortiosteroidi inalatori) nel controllare i sintomi, in particolare i sintomi indotti da sforzo fisico. Ovvio, limite di questi test è il tempo che richiedono per essere standardizzati e riprodotti, tempo che spesso manca nella realtà delle nostra strutture ospedaliere, ma che andrebbe ricavato per prediligere la qualità alla quantità.