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La fibrillazione atriale (FA) è la più comune aritmia sostenuta che contribuisce all’aumento della ospedalizzazione, morbilità e mortalità. L'apnea ostruttiva del sonno (OSA), con quasi un miliardo di adulti colpiti in tutto il mondo, è una malattia molto diffusa. FA e OSA condividono fattori di rischio comuni, tra cui obesità ed età. Diversi meccanismi fisiopatologici, come l'ipossiemia indotta dall'apnea, l’oscillazione della pressione intratoracica, il bilancio autonomico, il rimodellamento atriale, lo stress ossidativo, l’infiammazione e l’attivazione neuroumorale, potrebbero contribuire alla comparsa di FA in pazienti con OSA e, una recente meta-analisi ha concluso che l'OSA potrebbe aumentare in modo dose-dipendente il rischio di FA. Inoltre le stesse registrazioni del sonno eseguite per diagnosticare l'OSA potrebbero fornire marcatori fisiologici per aiutare a predire il rischio di FA.
Lo scopo degli autori di questo interessante studio osservazionale è stato quello di valutare se gli indici di desaturazione ossiemoglobinica e di pulse rate variability (PRV) derivati dalla pulsossimetria notturna possano predire l'insorgenza di FA nei pazienti valutati per sospetta OSA.
Gli autori hanno analizzato i dati di un'ampia coorte multicentrica di pazienti senza FA valutati per sospetto di OSA tra il 15 maggio 2007 e il 31 dicembre 2017; questi dati sono stati collegati con quelli sanitari amministrativi per identificare pazienti ricoverati e non con FA di nuova insorgenza.
L'endpoint dello studio era l'incidenza di FA, definito come il primo episodio di FA in qualsiasi momento tra lo studio del sonno e la data finale di follow-up. L'algoritmo per identificare il primo episodio di FA si basava sui dati del Sistema Nazionale Francese dei Dati Sanitari, che collega in modo anonimo le informazioni per tutte le richieste di rimborso dell'assicurazione sanitaria alla banca dati nazionale delle dimissioni ospedaliere.
I pazienti con sospetto di OSA tra il 15 maggio 2007 e 31 dicembre 2017 sono stati 9.215 mentre la dimensione del campione finale eleggibile per lo studio comprendeva 7.205 pazienti senza FA, prevalentemente maschi, obesi o in sovrappeso, e con frequenti comorbilità cardiovascolari e metaboliche. Tra i pazienti inclusi, il 13,3% era non OSA, il 22,82% presentava OSA lieve, il 22,37% OSA moderata e il 41,5% OSA grave. Dell'intera coorte, il 52% è stato sottoposto a PSG e il restante 48% è stato sottoposto a monitoraggio cardiorespiratorio (RP).
Durante il follow-up, 2.479 pazienti sono stati aderenti alla PAP (aderenza mediana ore/giorno, 6,4) e 4.726 pazienti non hanno ricevuto alcuna terapia per l'OSA o hanno utilizzato la PAP per meno di 4 ore al giorno (mediana, 2,2 h/giorno; IQR, 1,1-3,3 ore/giorno). Come previsto, i pazienti che hanno ricevuto un'adeguata terapia PAP avevano forme di OSA più gravi e più comorbilità a confronto con pazienti non trattati.
Dopo un follow-up mediano di 5,34 anni, 181 pazienti avevano ricevuto diagnosi di FA e di questi 130 sono stati ricoverati per FA. Il confronto tra pazienti con e senza FA incidente ha mostrato differenze significative per età, sesso, indice di massa corporea, assunzione di alcol, storia di diabete, ipertensione e malattie cardiache, indici di gravità dell’OSA, ipossiemia notturna e PRV, tipo di studio del sonno e aderenza alla PAP.
C'era anche una tendenza verso una significativa maggiore prevalenza di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) in pazienti che hanno sviluppato FA. I modelli Cox di rischio proporzionale non aggiustato hanno dimostrato un'associazione significativa di incidenza di FA con tutti gli indici di ipossiemia notturna e gravità dell'OSA valutata dall'indice di apnea-ipopnea (AHI).
Tuttavia, dopo aver aggiustato per tutti i fattori confondenti, inclusi dati antropomorfi, assunzione di alcol, malattie cardiache, metaboliche e respiratorie, farmaci b-bloccanti/bloccanti dei canali del calcio, tipo di studio del sonno, luogo dello studio e aderenza PAP, solo il T90 era significativamente associato al rischio di FA.
Non c'era associazione tra gravità dell’OSA valutata dall'incidenza di AHI e FA mentre un PRV più alto e un rapporto LF/HF (come misura del tono simpatico-parasimpatico) più basso erano associati al rischio di FA che rimaneva altamente significativa dopo aver corretto per i fattori confondenti.
La più alta incidenza di fibrillazione atriale è stata osservata in pazienti con ipossiemia globale grave e alta PRV durante il sonno.
La conclusione che il T90, un marker di ipossiemia globale sonno correlata, prevede l'incidenza di FA ma anche eventi cardiovascolari e tutte le cause di mortalità rispetto all'AHI e all'ODI, è coerente con quelli di precedenti studi clinici di coorte.
Infatti il T90 caratterizza non solo l'ipossia intermittente correlata all'OSA ma anche l'ipossiemia persistente, come quella dovuta all'obesità, alla insufficienza cardiaca o alla BPCO.
L'attività del sistema nervoso autonomo svolge un ruolo fondamentale nell’avvio e mantenimento della FA. Nei pazienti con OSA, la pronunciata attivazione simpatica che avviene alla fine degli eventi ostruttivi è preceduta dalla bradicardia mediata dal parasimpatico nel corso dell’evento. Questa attivazione simpatico/parasimpatico probabilmente induce cambiamenti elettrofisiologici aritmogeni acuti e una maggiore frequenza di contrazioni atriali premature che possono scatenare la FA in presenza di un substrato vulnerabile.
L'equilibrio simpatico/parasimpatico (LF/HF ratio) ridotto correlato al sonno è stato associato indipendentemente a incidenza di fibrillazione atriale.
I punti di forza di questo studio sono un disegno multicentrico, una ampia gamma di severità dell’OSA, la correzione per molteplici fattori di rischio per FA, la valutazione di diversi gradi di ipossia e PRV, e un lungo e completo follow-up con accesso al Sistema Nazionale Francese dei Dati Sanitari.
Lo studio ha anche diversi limiti come l'algoritmo utilizzato per identificare la FA non ospedaliera che potrebbe avere portato a classificazioni errate dell’outcome primario e la variabilità interscorer nella refertazione, in particolare per le ipopnee, può avere contribuito alla mancanza di associazione tra rischio di FA e categorie di gravità dell'OSA.
Alla fine gli autori concludono che nei pazienti indagati per sospetto clinico di OSA, indici di ipossiemia notturna e PRV derivati dell'ossimetria, se entrambi alterati, sono predittori indipendenti di maggiore incidenza di fibrillazione atriale.
Questo lavoro non vuole essere una “riabilitazione” della ossimetria notturna per fare diagnosi di OSA ma piuttosto conferma una volta di più il principio che guardare con occhio attento i dati contenuti in un monitoraggio cardiorespiratorio può essere di grande utilità per meglio inquadrare il paziente.

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