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Per molti anni si è ritenuta l’ipertrofia adenotonsillare come la causa più comune dell’OSA nei bambini, e l’adenotonsillectomia come un trattamento quasi sempre efficace per la correzione dei disturbi respiratori ostruttivi nel sonno in questa età. Negli ultimi anni, gli studi sull’efficacia dell’adenotonsillectomia nell’OSA pediatrica hanno sempre più spesso preso in considerazione i dati polisonnografici postoperatori, prima spesso trascurati, mettendo in evidenza la permanenza di un indice di apnea/ipopnea (AHI) abnormemente elevato in un’inaspettata quota di bambini, particolarmente tra quelli obesi o con comorbidità come la sindrome di Down o anomalie dello sviluppo facciale.

Il lavoro di Bhattacharjee e coll. è uno studio multicentrico retrospettivo sugli effetti dell’adenotonsillectomia in una popolazione comprendente 578 bambini sintomatici per OSA e con ipertrofia adenotonsillare, sia europei, sia americani, con un ampio range di età (8 mesi-18 anni), ma in gran maggioranza in età prepuberale. Sono stati analizzati i risultati di polisonnografie eseguite su questi soggetti prima e dopo (40-720 giorni) l’intervento. Non sono stati inclusi nella casistica soggetti con importanti comorbidità (come le sindromi di Down, di Turner o di Prader Willi). I criteri dell’analisi sono stati standardizzati, nei limiti di quanto consentito dall’uso di sistemi di registrazione e di rilevamento diversi fra i vari centri. In media AHI e saturazione ossiemoglobinica erano migliorati significativamente dopo l’intervento. Suddividendo i soggetti per classi di AHI postoperatorio, il 27,2% aveva un AHI<1 mentre il 21,6% >5. Nella casistica complessiva, l’età >7 anni, il BMI (valutato come z-score), la presenza di asma e un elevato AHI preoperatorio sono risultati fattori predittivi di un elevato AHI postoperatorio; tra gli obesi presi da soli, invece, la presenza di asma e l’AHI preoperatorio non mostravano alcuna predittività. Gli autori non scoraggiano dall’eseguire adenotonsillectomie nei bambini con OSA, in quanto il risultato medio dell’intervento era apprezzabile (AHI medio da 18,2 a 4,1), ma puntualizzano l’esistenza di un sottogruppo di bambini (gli obesi, i più grandi, gli asmatici) in cui l’adenotonsillectomia tende ad essere meno efficace, ed in cui quindi debba essere raccomandata l’esecuzione di una polisonnografia postoperatoria e successivamente istituita una terapia che possa agire là dove gli effetti dell’adenotonsillectomia siano stati insufficienti.

I risultati di questo studio rafforzano le conclusioni di metanalisi già pubblicate su questo argomento, che derivano da studi su casistiche più piccole, talvolta difficilmente confrontabili fra loro, e che avevano già identificato l’età e l’obesità come fattori che influenzano l’esito dell’adenotonsillectomia. E’ nuovo invece il risultato dell’influenza dell’asma.

Come illustrato nell’articolo, nei bambini con OSA l’adenotonsillectomia, anche quando non eradica i disturbi respiratori, ne riduce significativamente la gravità nella maggior parte dei casi, e rimane ancora il trattamento principale in età prepuberale. Più che ridimensionarne drasticamente l’uso, occorre prendere in considerazione la possibilità di praticare altre forme di trattamento, aggiuntive o alternative, almeno nei casi di incompleta efficacia di questo intervento o in cui non sia prevedibile un suo successo. Tra le opzioni terapeutiche disponibili, la terapia ortodontica e la distrazione osteogenetica delle ossa mascellari possono dare buoni risultati nei bambini con alterazioni dello sviluppo dentario e dello scheletro facciale. Negli ultimi anni, però, con l’aumento della prevalenza di obesità infantile, si è imposta all’attenzione una popolazione di bambini e adolescenti con OSA con caratteristiche patogenetiche e cliniche più simili a quelle degli adulti. In questi ultimi il trattamento chirurgico è meno efficace che negli altri bambini, mentre possono avere un maggiore ruolo il dimagrimento o, talvolta, una terapia con CPAP.

A cura del Dr. Oreste Marrone