- Pubblicazione il 18 Novembre 2015
Sono presenti in letteratura molti studi sull’epidemiologia delle apnee ostruttive nel sonno. Nel tempo, i nuovi studi epidemiologici hanno sempre confermato l’associazione di sesso maschile, età avanzata ed obesità con valori di prevalenza più elevati di questo disturbo, ed hanno dimostrato sempre più chiaramente che esso comporta un rischio cardiometabolico. I valori assoluti di prevalenza stimati dai vari lavori sono stati però molto variabili, ed hanno mostrato una tendenza ad un aumento negli anni che è stata a volte messa in relazione alla crescente prevalenza dell’obesità (1). Pur tenendo conto dell’obesità, gli studi mostrano discordanze che sono state certamente influenzate, più ancora che da caratteristiche etniche delle popolazioni via via studiate, da fattori di tipo tecnico e metodologico.
Lo studio HypnoLaus ha avuto come scopo di valutare la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno utilizzando i criteri diagnostici internazionali oggi più raccomandati, e di metterli in rapporto alla presenza di alcune comorbidità cardiovascolari, metaboliche e psichiatriche.
E’ stato studiato un campione della popolazione adulta della città di Losanna selezionato in modo random. Tutti i soggetti furono sottoposti a polisonnografia completa domiciliare. Il segnale del flusso aereo era ottenuto col rilevamento della pressione nasale. Lo scoring degli eventi respiratori fu eseguito seguendo diversi criteri, ma l’analisi principale si è basata sui criteri AASM 2012 che prevedono, per il riconoscimento dell’ipopnea, l’osservazione di una riduzione del segnale del flusso aereo ≥30% seguita almeno da una caduta della saturazione ossiemoglobinica ≥3% o da un arousal (2).
In totale, i dati per questo studio sono stati raccolti su 2121 soggetti, metà dei quali uomini e metà donne, con un’età mediana di 57 anni [IQR 49-68], in maggioranza non obesi (BMI 25.6±4.1 kg/m2). Tra gli eventi respiratori osservati i più comuni furono le ipopnee (75%), seguiti da apnee ostruttive (19%), centrali (4%) e miste (2%). Un indice di apnea/ipopnea (AHI) ≥5 fu ritrovato nell’83,8% degli uomini e nel 60,8% delle donne, mentre un AHI ≥15 nel 49,7% degli uomini e nel 23,4% delle donne. Gli individui in età più avanzata (≥60 anni) tendevano ad avere più spesso gradi moderati (AHI tra ≥15 e <30) o severi (AHI ≥30) di disturbi respiratori nel sonno rispetto ai più giovani. La prevalenza della sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno (non riportata numericamente nel testo, ma deducibile da una figura), intesa come AHI ≥5 insieme ad eccessiva sonnolenza diurna valutata come punteggio alla scala di Epworth >10, era di circa l’11% negli uomini e il 6% nelle donne, con differenze solo modeste tra soggetti di età <60 e ≥60 anni. Suddividendo la popolazione per quartili di AHI, l’analisi statistica mostrava associazioni significative tra l’ultimo quartile di AHI, corrispondente a valori >20,6, e ipertensione arteriosa, diabete mellito, sindrome metabolica e depressione. Applicando la definizione di ipopnea proposta dai criteri AASM del 2007 (3), che richiede obbligatoriamente la presenza di una caduta della saturazione ≥4% dopo l’evento, i valori mediani di AHI nella coorte tendevano a dimezzarsi.
Ciò che colpisce maggiormente nei risultati di questo studio è l’elevatissima prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno nella popolazione studiata, ed in particolare di un AHI ≥5, superiore a quella osservata precedentemente in soggetti di mezza età. Gli autori, oltre a riconoscere una possibile influenza del disegno sperimentale e della composizione etnica della popolazione sulle stime di prevalenza calcolate da ciascuno studio, pongono l’accento sull’importanza di fattori metodologici. Gli eventi osservati più frequentemente in questo studio erano le ipopnee, che apparivano drasticamente meno frequenti quando si utilizzavano per il loro riconoscimento i criteri AASM del 2007, e sarebbero apparse ancora meno frequenti adoperando sensori di temperatura per il rilevamento del flusso aereo. Nella maggioranza dei lavori epidemiologici più noti sono stati utilizzati sensori di temperatura per il rilevamento del flusso, e criteri restrittivi per il riconoscimento delle ipopnee (4-10). I pochi studi che hanno applicato metodologie conformi alle indicazioni attuali hanno trovato valori di prevalenza più simili, anche se ancora inferiori, a quelli di questo lavoro (11-12).
Gli autori si chiedono quindi se l’AHI determinato con i criteri oggi raccomandati non porti ad una sovradiagnosi di patologia, e se il valore di AHI ≥5 che attualmente viene indicato come possibile soglia di rischio per la salute non sia invece arbitrario, con un conseguente spreco di risorse sanitarie. Oggi, secondo una definizione dell’ultima classificazione dei disordini del sonno, ogni soggetto che mostri almeno 5 disturbi respiratori, prevalentemente di tipo ostruttivo, per ora di sonno, insieme ad almeno una qualunque condizione tra sonnolenza, spossatezza, insonnia, risveglio con sensazione di soffocamento, russamento abituale, apnee osservate dal partner, ipertensione arteriosa, disturbo dell’umore, disfunzioni cognitive, malattie coronariche, ictus, insufficienza cardiaca congestizia, fibrillazione atriale o diabete mellito di tipo 2 va considerato affetto da “Apnea ostruttiva nel sonno (OSA)”(13). Combinando i dati di prevalenza dell’AHI ≥5 sopra riportati con questa definizione si potrebbe concludere che una parte quasi certamente maggioritaria della popolazione adulta sia meritevole di un trattamento per i suoi disturbi respiratori notturni. Invece, nella coorte HypnoLaus si associava significativamente a diverse patologie l’AHI >20,6, suggerendo che i disturbi respiratori nel sonno abbiano un’importanza clinica ma solo quando raggiungano una frequenza superiore rispetto a quella oggi indicata come potenzialmente pericolosa.
Un dato non messo in evidenza dagli autori di questo lavoro è che l’età mediana dei soggetti studiati era maggiore che negli studi epidemiologici precedenti, tranne che in quelli eseguiti su popolazioni specificamente selezionate per età avanzata. Questo può avere amplificato le differenze osservate, ma non altera sostanzialmente il messaggio di questo studio. Come concluso dagli autori, un’analisi dell’incidenza di varie complicanze nella coorte HypnoLaus potrà rivelarsi utile per rivalutare quando un soggetto con disturbi respiratori nel sonno, identificati secondo i criteri odierni, possa realmente essere considerato a rischio.
Bibliografia
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