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I residui di salbutamolo nelle acque reflue di Milano. Adriano Vaghi commenta lo studio

Esiste un legame fra i livelli di inquinamento e gli attacchi d’asma. E’ evidente e diretto. A dirlo è una ricerca, pubblicata sulla rivista “Enviromental Research “, condotta presso l’IRCSS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano.

Tre i dipartimenti dell’Istituto coinvolti nello studio: il Dipartimento Ambiente e Salute, il Dipartimento di Epidemiologia e il Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare.

I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di analisi delle acque reflue che viene applicata per lo studio delle malattie ambientali. Per tre mesi, da ottobre a dicembre, le acque reflue provenienti dalla città di Milano sono state campionate quotidianamente prima di essere immesse nel depuratore di Nosedo. Sono stati analizzati i residui di salbutamolo, il principio attivo presente nei farmaci impiegati per contrastare il broncospasmo durante le crisi asmatiche.

In contemporanea ARPA Lombardia ha fornito i dati relativi alle concentrazioni giornaliere di una serie di inquinanti quali il particolato sottile (PM10 e PM2.5), il biossido di azoto, il biossido di zolfo e il benzene.

Incrociando i dati provenienti dall’analisi delle acque reflue relativi al numero medio di dosi giornaliere consumate nella città di Milano e quelli messi a disposizione dall’ARPA Lombardia è stato possibile trovare una correlazione diretta e statisticamente significativa fra i livelli di PM10 e PM2.5 e le dosi di salbutamolo impiegate.

In particolare, ad ogni aumento di PM10 di 10 microgrammi/m3 corrisponde un aumento del 6% di dosi di salbutamolo impiegate dalla popolazione milanese.

“Studi precedenti avevano dimostrato come l’aumento delle concentrazioni di PM10 o di ossidi di ozono possa peggiorare patologie quali asma e BPCO” commenta Adriano Vaghi, Responsabile Gruppo di Studio dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) BPCO, Asma e Malattie allergiche e Direttore UO complessa di Pneumologia Osp Garbagnate Mi (ASST Rhodense).

“In questi lavori il rischio veniva quantificato tenendo conto di parametri quali le visite in pronto soccorso, le ospedalizzazioni o le visite presso l’ambulatorio del medico di base. Con uno studio pubblicato nel 1999 Pope e colleghi, ad esempio, avevano osservato, su un vasto campione di soggetti che, per ogni incremento di 10 ug/ metro cubo di PM10 il rischio di ospedalizzazioni o di visite in pronto soccorso aumenta del 1.5% e quello di peggiorare l’asma aumenta del 3%. Considerando che nei periodi invernali le concentrazioni atmosferiche di PM10 raggiungono i 100-150 ug/ metro cubo è evidente quale possa essere l’effetto dell’inquinamento sulla salute della popolazione e, in particolare, nei soggetti asmatici” continua Vaghi.  

“La novità introdotta dallo studio condotto presso l’istituto di ricerca Mario Negri è rappresentata dalla metodica utilizzata. Si tratta di un tecnica innovativa in quanto consente di correlare in tempo reale il peggioramento della sintomatologia con l’inquinamento in tutti i soggetti asmatici utilizzando come proxy del peggioramento clinico l’utilizzo di un farmaco sintomatico come il salbutamolo. Questo lavoro conferma l’esistenza di un rapporto causale fra inquinamento atmosferico e patologie respiratorie che non possiamo più trascurare” conclude Adriano Vaghi.

Ufficio Stampa AIPO