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BPCO. Ogni riacutizzazione porta con sé periodi più o meno lunghi in cui, oltre all’infiammazione sistemica e al declino della funzione respiratoria, il paziente sperimenta peggioramento dei sintomi, debolezza e limitazione funzionale che si protraggono ben oltre la risoluzione della fase acuta. Ogni evento respiratorio acuto, anche se ben gestito, residua un certo grado di disabilità e aumenta la fragilità, in modo analogo a quanto accade dopo un ictus (1).
Le terapie farmacologiche inalatorie oggi disponibili sono in grado di ridurre solo in modo modesto il numero di esacerbazioni e di ricovero ospedalieri conseguenti a riacutizzazione severa. Esiste però una terapia che è in grado di incidere sensibilmente sulla qualità di vita dei pazienti, sui sintomi, sulla capacità di svolgere le attività di tutti i giorni, addirittura di ridurre il numero di ospedalizzazioni. Tutto questo con un rapporto costo-efficacia nettamente inferiore a tutte le altre. Questa terapia si chiama Riabilitazione Pneumologica (PR) ed è “sul mercato” da molti anni. Eppure le indagini dimostrano che ancora oggi meno della metà dei pazienti affetti da malattia respiratoria cronica ne è a conoscenza. Nonostante gli innumerevoli benefici ormai universalmente riconosciuti, solo pochi di loro sono correttamente indirizzati ad un percorso di PR (10%): di questi solo una piccola percentuale vi accede (1-2%) e un numero ancora inferiore porta a termine l’intero programma (0,7%) (2).
Dopo un ricovero per riacutizzazione, l’accesso ad un programma di PR entro poche settimane è in grado di ridurre l’incidenza di nuove ospedalizzazioni, ma anche in questo caso la realtà è ancora molto lontana dalle raccomandazioni delle linee guida (3). Lo studio di Spitzer et al., pubblicato sugli Annali dell’American Thoracic Society, ha analizzato i registri del programma MediCare (programma di assicurazione medica amministrato dal governo degli Stati Uniti, destinato alle persone over 65 o con disabilità) a due anni dall’inclusione della PR tra i servizi coperti dall’assicurazione sanitaria.
Gli autori hanno raccolto i dati di circa 225 mila pazienti ricoverati per riacutizzazione di BPCO o insufficienza respiratoria in BPCO e potenzialmente idonei per la PR post-dimissione. Di questi, meno del 2% ha partecipato a programmi di PR entro sei mesi dal ricovero (solo lo 0,3% entro un mese e l’1,5% entro 2 mesi). Tra coloro che hanno avuto accesso al programma, la mediana di partecipazione è stata di 16 (IQR: 6-25) sedute nell’arco dell’anno. Tra i maggiori fattori limitanti l’accesso e la partecipazione ai programmi di PR sono stati identificati: la distanza geografica dalla struttura di riferimento per la PR, l’essere parte di minoranze etniche, essere donna e trovarsi in condizioni socio-economiche svantaggiate. Sorprendentemente la stragrande maggioranza dei pazienti che avrebbero maggiormente beneficiato della PR (pazienti con multi-morbilità e frequenti ospedalizzazioni) non ha mai usufruito di questo servizio assicurativo. Solamente i portatori di ossigenoterapia a lungo termine, nei tre mesi precedenti il ricovero, sono risultati più propensi ad usufruire di PR dopo la dimissione.
Il limite dell’utilizzo dei soli dati amministrativi è che non permette di desumere se la scarsa partecipazione può essere stata condizionata anche da altri fattori di tipo culturale e personale, sia dei pazienti che degli operatori sanitari. Infatti, mentre la disomogenea distribuzione territoriale dei centri di riferimento è sicuramente uno dei principali problemi, la scelta di partecipare e aderire con costanza al programma di PR può essere condizionata da altri determinanti: la rete di supporto sociale, la percezione di controllo della propria malattia e dei sintomi ad essa correlata, la percezione di reale beneficio nella partecipazione alla PR, le precedenti esperienze di ospedalizzazione e di riabilitazione, la conoscenza e la consapevolezza riferite alla propria patologia e ai benefici delle terapie, ecc. L’altro fattore determinante è la consapevolezza dei clinici, in particolare dei fornitori di cure primarie e dei servizi ospedalieri generalisti, e dei pagatori dei servizi sanitari: da questi infatti dipende l’infrastruttura organizzativa e culturale che può garantire o meno l’accesso appropriato alle terapie (4).
Quello presentato da Spitzer rimane in ogni caso il quadro di un divario allarmante tra ciò che tutte le società scientifiche raccomandano e ciò che realmente accade: di fatto lo specchio di una realtà diffusa nella gran parte dei paesi in cui esiste un sistema sanitario nazionale. Nonostante la consapevolezza della comunità scientifica globale rispetto ai benefici della PR, i dati dimostrano che questa “terapia” non è ancora disponibile per la maggior parte di coloro che ne potrebbero trarre i maggiori benefici. Con tutto ciò che ne consegue per la salute dei cittadini e dei conti pubblici.
Nell’editoriale che accompagna la pubblicazione di Spitzer, il commentatore tenta di tracciare le cinque tappe per tradurre le evidenze scientifiche in realtà (5).
Primo: le società scientifiche, gli esperti e i professionisti di area respiratoria, i fornitori di servizi sanitari e soprattutto le associazioni dei pazienti dovrebbero unirsi in una campagna corale di sensibilizzazione dei decisori politici e dei pagatori riguardo al rapporto costo-benefici della PR. Gli esiti di salute a lungo termine e la riduzione delle ospedalizzazioni dovrebbero diventare la guida alla definizione di appropriatezza.
Secondo: l’accesso alla PR dovrebbe essere garantito e coperto dal servizio sanitario in ogni fase di malattia, senza limiti, poiché è dimostrato che è in grado di ridurre il numero dei ricoveri.
Terzo: la diffusione dei servizi sul territorio dovrebbe diventare la priorità, per garantire una copertura capillare dei bisogni e favorire la partecipazione ai programmi per tutti i maggiori beneficiari della PR.
Quarto: spostare la PR sempre più vicino al paziente e ai suoi luoghi di vita quotidiana attraverso programmi domiciliari, assistendo e monitorando le attività attraverso piattaforme a basso costo basate sulla rete (telemonitoraggio e teleriabilitazione attraverso applicazioni mobili) e sperimentando strategie alternative di attività fisica che non richiedano la classica strumentazione dei centri di riabilitazione.
Quinto: prevedere il riconoscimento di forme di incentivo (rimborso o riconoscimento nei livelli essenziali di assistenza) per i programmi di educazione all’autogestione della patologia cronica.
Ci auguriamo che nel recepire il Piano Nazionale Cronicità del 2016, le Regioni sappiano tradurre questi suggerimenti in azioni che favoriscano l’accesso e la partecipazione alla Riabilitazione Pneumologica per tutti i cittadini che ne possono beneficiare.

 

Bibliografia

  1. Hillas G, Perlikos F, Tzanakis N. Acute exacerbation of COPD: is it the “stroke” of the lungs? Int J Chron Obstruct Pulmon Dis 2016;11:1579-86.
  2. Johnston K, Grimmer-Somers K. Pulmonary rehabilitation: overwhelming evidence but lost in translation? Physiother Can 2010;62:368-73.
  3. Jones SE, Green SA, Clark AL, et al. Pulmonary rehabilitation following hospitalisation for acute exacerbation of COPD: referrals, uptake and adherence. Thorax 2014;69:181-2.
  4. Russell S, Ogunbayo OJ, Newham JJ, et al. Qualitative systematic review of barriers and facilitators to self-management of chronic obstructive pulmonary disease: views of patients and healthcare professionals. NPJ Prim Care Respir Med. 2018;28:1-13.
  5. Bhatt SP. It's time to rehabilitate pulmonary rehabilitation. Ann Am Thorac Soc 2019;16:55-7.