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Commento a cura di Francesco Gigliotti - 30 Novembre 2018

I pazienti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) sono sostanzialmente meno attivi dei soggetti normali e il livello di inattività fisica mostra correlazioni con la mortalità e gli accessi ospedalieri a seguito di episodi di riacutizzazione (1, 2).
La definizione di riabilitazione respiratoria così come enunciata nello statement ufficiale ATS/ERS 2013 sottolinea l’importanza dell’intervento nel promuovere aderenza a lungo termine a comportamenti tesi al miglioramento della salute e quindi all’incremento dei livelli di Attività Fisica (AF). Come produrre e mantenere un tale cambiamento nello stile di vita dei pazienti rimane una sfida. In quest’ottica, Arbillaga-Extarri A et al., in un articolo pubblicato il 18 ottobre 2018, hanno ipotizzato che la personalizzazione dell’intervento “riabilitativo” basato sul riconoscimento dei determinanti interpersonali ed ambientali di AF potesse contribuire a mantenere gli effetti dell’intervento nel lungo periodo.
E’ uno studio randomizzato controllato condotto in pazienti BPCO reclutati da 33 centri di 5 municipalità catalane. L’intervento nel gruppo di studio (Urban Training) prevedeva: 1) intervista motivazionale da parte di un terapista addestrato in strategie comportamentali; 2) la consegna di un dossier contenente mappe di percorsi di Urban Training, di differente difficoltà, disponibili in spazi pubblici cittadini. Il fisioterapista illustrava le caratteristiche dei percorsi e istruiva il paziente ad allenarsi scegliendo un percorso appropriato alla propria dispnea e al 6MWT di base. Le istruzioni prevedevano di effettuare un percorso al giorno per 5 giorni alla settimana ad un passo che portasse ad uno score di Borg di 4-6; 3) l’uso di un pedometro e un calendario per monitorizzare AF e mantenere la motivazione; 4) stesso materiale informativo del gruppo di controllo; 5) una volta al mese il paziente poteva essere accompagnato lungo il percorso da un physical trainer esperto. Il gruppo di controllo riceveva un counseling generico e la brochure informativa “Vivere una vita attiva con la BPCO” della European Lung Foundation. Entrambi i gruppi ricevevano il trattamento farmacologico e non farmacologico appropriati, compresa la riabilitazione, secondo quanto previsto dal proprio curante e senza alcun intervento dei ricercatori.
Outcome primario era la variazione nel numero di passi quotidiani al dodicesimo mese. Il numero di esacerbazioni severe e le variazioni di 6MWT, BMI, FFMI, CAT, e HAD score di ansia e depressione erano considerati outcome secondari.
Dei 407 pazienti randomizzati, il 69% (280 pazienti) ha completato il controllo finale. Di questi, 233 (83%) mostrava un adeguato livello di aderenza. Dopo 12 mesi, rispetto al gruppo di controllo, i pazienti del gruppo Urban Training aderenti al trattamento aumentavano significativamente il numero medio di passi (816 passi/die, 959 per i pazienti con BPCO lieve-moderata, 383 per pazienti con BPCO severa-molto severa). Non c’era alcuna differenza tra i due gruppi in termini di outcome secondari. I pazienti con maggior livello di attività fisica di base mostravano gli incrementi maggiori durante follow-up. Peraltro, quando l’analisi dei risultati veniva condotta in termini di Intention To Treat (ITT, cioè su tutti i pazienti randomizzati che avevano completato lo studio e fornito misure valutabili, contrapposta all’analisi per protocol che veniva effettuata sul subset dei pazienti del ITT che risultavano aderenti all’intervento previsto per loro), l’intervento non risultava efficace, suggerendo che il miglioramento si verificava soltanto nei pazienti collaborativi e aderenti. L’intervento Urban Training migliorava quindi AF nei pazienti BPCO 1) a lungo termine (dopo 12 mesi) e 2) in grandezza maggiore rispetto agli studi pubblicati in precedenza. La personalizzazione dei percorsi secondo fattori individuali, ambientali ed interpersonali (sociali, culturali) contribuiva ad ottenere l’effetto in termini di durata e di dimensioni del risultato. Inoltre, lo studio promuoveva il coinvolgimento di specialisti comportamentali (o personale con competenze equivalenti) nel disegno e nella gestione di interventi su AF.
Uno dei limiti del trattamento riabilitativo per i pazienti affetti da BPCO è quello di essere disponibile soltanto per una piccola minoranza di pazienti nonostante sia fortemente raccomandato come intervento standard. Un modo per espandere la diffusione e la disponibilità dei benefici della riabilitazione respiratoria è quello di cercare modalità alternative al modello tradizionale di trattamento (3, 4). In quest’ottica il lavoro di Arbillaga-Etxarri, innovativo nella concezione e nella realizzazione, costituisce un elemento di novità: non richiede locali dedicati, attrezzature e figure professionali costantemente presenti. Focalizza l’attenzione sull’incremento del livello di attività fisica, che costituisce un obiettivo definito dei programmi di riabilitazione respiratoria. Definisce le caratteristiche della popolazione di pazienti responsiva a questo tipo di intervento, in quanto soltanto i pazienti con buona compliance al trattamento e con BPCO lieve-moderata incrementano significativamente i livelli di AF. Peraltro, come per il gruppo di controllo, i pazienti del gruppo Urban Training non mostravano miglioramenti negli outcome secondari (6MWT, qualità della vita, numero di riacutizzazioni severe), che generalmente quantificano il beneficio prodotto dai programmi riabilitativi. Secondo gli Autori tale risultato potrebbe essere spiegato da più ragioni: mancanza di supervisione nel corso dell’intervento che si affida ad una compliance riportata soggettivamente, che potrebbe aver limitato il raggiungimento di intensità minime di lavoro; livello elevato di attività fisica basale e un buon livello di stato di salute dei partecipanti, per cui ci sarebbe stato poco spazio per ulteriori miglioramenti. In ogni caso il lavoro contribuisce in maniera rigorosa alla discussione sulla introduzione di modalità innovative nel perseguimento degli obiettivi previsti dall’intervento riabilitativo, utilizzando un approccio di tipo comportamentale e le risorse ambientali disponibili, con l’obiettivo di raggiungere una popolazione di pazienti BPCO più larga possibile.
 

Bibliografia

  1. Garcia-Rio F, Rojo B, Casitas R, et al. Prognostic value of the objective measurement of daily physical activity in patients with COPD. Chest 2012;142:338-46.
  2. Garcia-Aymerich J, Lange P, Benet M, et al. Regular physical activity reduces hospital admission and mortality in chronic obstructive pulmonary disease: a population based cohort study. Thorax 2006;61:772-8.
  3. Holland AE, Mahal A, Hill CJ, et al. Home-based rehabilitation for COPD using minimal resources: a randomised, controlled equivalence trial. Thorax 2017;72:57-65.
  4. Polkey MI, Qiu ZH, Zhou L, et al. Tai Chi and pulmonary rehabilitation compared for treatment-naive patients with COPD: a randomized controlled trial. Chest 2018;153:1116-24.

 

Commento a cura di Francesco D'Abrosca - 30 Ottobre 2018

Forte di un elevatissimo grado di evidenza scientifica, la riabilitazione polmonare è universalmente riconosciuta come lo standard di cura per i pazienti con Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO): migliora la tolleranza all’esercizio fisico, la dispnea e la qualità di vita molto più di qualsiasi altra terapia, diverse volte più efficace dei soli broncodilatatori (1). Le strategie di allenamento ormai consolidate, e quelle innovative studiate negli ultimi anni, hanno raggiunto livelli di adattabilità tali per cui si potrebbe affermare che “non c’è paziente che non si possa allenare”.
Nonostante questo, mentre i broncodilatatori e l’ossigenoterapia hanno avuto la corretta diffusione (che non sempre corrisponde al corretto utilizzo), l’accesso alla riabilitazione pneumologica è rimasto ancora un privilegio per pochi (1-2% di tutti coloro che ne potrebbero beneficiare), e non solo in Italia (2). Ancora troppo poche le strutture in grado di erogare standard di cura e riabilitazione adeguati, pochi i professionisti sanitari specializzati, poche le risorse sanitarie destinate a questa “terapia” che garantisce anni di vita in buona salute (3). Neanche la scusa dei costi della riabilitazione dovrebbe più essere una barriera, visto che da tempo sappiamo che il costo-beneficio è comparabile, se non maggiore, alle altre terapie farmacologiche (4).
Anche se non esplicitamente dichiarato, lo studio condotto dai colleghi catalani (Arbillaga-Etxarri et al.) e pubblicato recentemente sull’European Respiratory Journal propone un intervento riabilitativo alternativo, per così dire on-the-road, con un approccio che combina strategie comportamentali e camminate libere su percorsi cittadini. L’obiettivo degli Autori: incrementare il volume di attività fisica, attraverso la conta dei passi quotidiani (outcome primario) in pazienti con BPCO residenti in una grande area urbana, tra Barcellona e le comunità limitrofe.
Lo studio randomizzato controllato ha coinvolto per più di un anno 407 cittadini con BPCO, in condizioni di stabilità clinica e in assenza di comorbilità gravi o rischiose per la vita. 205 di questi sono stati allocati al gruppo di controllo che prevedeva i trattamenti standard (terapia farmacologica e non farmacologica, compreso l’eventuale programma di riabilitazione classico), e la consegna delle brochure informative “Living an active life with COPD” della European Lung Foundation, che raccomandano attività fisica moderata per almeno 30 minuti al giorno per almeno 5 giorni a settimana. Gli altri 202 pazienti, oltre alla terapia farmacologica, sono stati indirizzati ad un programma definito Urban training, basato su sei pilastri:

  • interviste di accesso al programma seguite da chiamate telefoniche di rinforzo per migliorare e mantenere la motivazione dei partecipanti
  • l’assegnazione individualizzata a percorsi urbani standardizzati e precedentemente validati con livelli di difficoltà diversi
  • camminate in gruppo una volta al mese accompagnati da un trainer esperto
  • l’utilizzo di un contapassi con possibilità di registrazione dell’attività svolta nel periodo di studio
  • invio regolare di messaggi di testo via telefono con informazioni e incitamenti all'attività
  • un numero telefonico di riferimento sempre attivo per sottoporre eventuali dubbi e quesiti al fisioterapista

A distanza di 12 mesi, 233 pazienti hanno portato a termine lo studio, mentre un terzo dei reclutati è risultato non aderente per le più svariate motivazioni (dalla mancanza di volontà esplicita, al mutare delle condizioni di contesto famigliare e sociale).
Tra quelli che hanno seguito tutte le raccomandazioni dell’Urban Training si è registrato un incremento dell’attività fisica di 957 passi al giorno (184–1731, IC 95%) rispetto al gruppo di controllo. Il tutto senza eventi avversi o particolari rischi per i partecipanti (salvo qualche lamentela per il male alle gambe durante i percorsi più impegnativi). Nessuna differenza di rilievo invece per quanto riguarda gli outcome secondari che comprendevano le esacerbazioni di malattia con accesso a strutture ospedaliere, i metri percorsi al test del cammino, lo stato nutrizionale e la composizione della massa corporea, il CAT e la qualità di vita. Gli Autori stessi si sono stupiti della discrepanza tra il significativo aumento di attività quotidiana e il non corrispondente miglioramento nei test di capacità funzionale, ipotizzando che l’assenza di una supervisione dell’intensità di allenamento quotidiano possa aver favorito un lavoro sotto soglia allenante nonostante il numero maggiore di passi.
Al di là dei risultati, questo studio ha il pregio di aver verificato l’efficacia e la sostenibilità di un programma di attività fisica personalizzato che valorizza il contesto di vita del paziente, utilizzando un intervento comportamentale e motivazionale che tiene conto dell’ambiente e delle condizioni sociali e relazionali del paziente stesso. Gli Autori, molto opportunamente, sottolineano che l’intervento si è rivelato efficace (rispetto all’outcome primario) solo per quei pazienti che hanno dimostrato la volontà di modificare il proprio comportamento e sono stati aderenti al programma, sottolineando ancora una volta come le componenti educazionali e motivazionali debbano essere valorizzate nella presa in carico della cronicità, come complemento fondamentale di tutte le terapie farmacologiche e non.
Uno stile di vita attivo e un programma di esercizio fisico strutturato sono due dei comportamenti maggiormente raccomandati per chi è affetto da patologia respiratoria cronica (1). A maggior ragione dopo un intervento riabilitativo strutturato e multidisciplinare, come strategie per mantenere i risultati raggiunti. Non serve la letteratura per insegnarci che sul tema dell’aderenza alle raccomandazioni vi è molto lavoro da fare. Se il telemonitoraggio ha ancora costi troppo elevati, molti limiti infrastutturali e spesso anche culturali, nell’immediato futuro possiamo e dobbiamo puntare su strategie a costo sostenibile, che valorizzino l’individuo e il suo contesto senza perdere di vista le lezioni del passato: perché la differenza potranno farla solo la motivazione dei pazienti e la preparazione dei professionisti sanitari che incontreranno sul loro percorso.
Richard Casaburi, uno dei pionieri dell’esercizio fisico nelle patologie respiratorie croniche, nel commentare questo stesso lavoro sottolinea che “la sedentarietà è un comportamento profondamente radicato nella maggior parte dei pazienti BPCO ed è molto difficile da estirpare senza il costante impegno di professionisti preparati ed esperti in tecniche motivazionali e il supporto di sedute di gruppo con pazienti che si trovano nelle stesse condizioni: queste sono caratteristiche fondamentali della riabilitazione tradizionale” (5).

Bibliografia

  1. Global Strategy for the Diagnosis, Management and Prevention of COPD. Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease (GOLD) 2018. https://goldcopd.org/gold-reports/ Date last accessed: September 2, 2018.
  2. Desveaux L, Janaudis-Ferreira T, Goldstein R, et al. An international comparison of pulmonary rehabilitation: a systematic review. COPD 2015;12:144-53.
  3. Nishi SP, Zhang W, Kuo YF, et al. Pulmonary rehabilitation utilization in older adults with chronic obstructive pulmonary disease, 2003 to 2012. J Cardiopulm Rehabil Prev 2016;36:375-82.
  4. Rochester CL, Vogiatzis I, Holland AE, et al. An Official American Thoracic Society/European Respiratory Society Policy Statement: enhancing implementation, use, and delivery of pulmonary rehabilitation. Am J Respir Crit Care Med 2015;192:1373-86.
  5. Casaburi R. Whither pulmonary rehabilitation? Will alternative modes help or hurt? Eur Respir J 2018;52(4).