Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi, contenuti personalizzati e annunci.

 

Per comprendere contenuti e finalità della pubblicazione segnalata, giova riassumere brevemente quanto è attualmente suggerito dalle Società Scientifiche maggiormente accreditate in tema di trattamento delle riacutizzazioni infettive della BPCO, eventi rilevanti nella storia naturale della malattia che favoriscono il declino della funzionalità respiratoria del paziente, ne peggiorano la qualità della vita rappresentando un’importante causa di mortalità e incrementano visite ed ospedalizzazioni dilatando contestualmente la spesa sanitaria.

Come è noto, i segni di una esacerbazione (ogni anno un paziente con BPCO affronta da 1 a 4 episodi e oltre) consistono in incremento della dispnea, aumento di volume dell’escreato, purulenza dell’escreato; principalmente sono implicati l’Haemophilus i., lo Streptococcus p., la Moraxella catarrhalis, lo Staphylococcus a., lo Pseudomonas a., i Gram– opportunisti e il Mycoplasma p. (da sottolineare inoltre la “responsabilità” addebitata anche alla Chlamydia p.), virus respiratori.

La terapia antibiotica, quando non è possibile quella mirata, si basa sostanzialmente sulla correlazione esistente tra livelli di deterioramento della funzione respiratoria (valutato attraverso il FEV1) e corrispondente implicazione di gruppi di determinati batteri.

Il ricorso alle pur valide linee guida terapeutiche (che schematicamente possono essere esemplificate nel modo seguente: macrolidi nel sospetto di mycoplasma o chlamydia, penicilline protette o fluorchinolonici di 3^ generazione nelle forme di riacutizzazione complicata, ciprofloxacina nelle forme più gravi, spesso sostenute da Pseudomonas) non sempre è destinato al successo. I pazienti funzionalmente più compromessi spesso necessitano di antibioticoterapia “personalizzata”, in particolar modo quando il parenchima polmonare è particolarmente compromesso come negli stadi bronchiettasici avanzati (spesso misconosciuti nei pazienti con BPCO di antica data).

Al di là di queste considerazioni è stato comunque accertato che un trattamento risulta efficace se vengono soddisfatti essenzialmente due criteri terapeutici: rapidità d’intervento ed eradicazione batterica. E’ documentato che il tempo di guarigione è correlato alla gravità dell’episodio (insorgenza rapida dei sintomi), a fattori eziologici, al trattamento adeguato e che migliori vantaggi si possono ottenere se la cura è anche tempestiva.

Questo è fondamentale sia in presenza di sintomi gravi che negli episodi lievi o moderati che insorgono in maniera graduale. I pazienti che ricevono un trattamento idoneo e tempestivo guariscono più rapidamente di altri che ricevono una terapia inadeguata e tardiva. L’intervento terapeutico precoce limita la gravità dell’episodio acuto, riduce il rischio di ospedalizzazione, migliora la qualità di vita e rallenta la progressione della malattia. Per quanto riguarda il secondo aspetto, l’eradicazione batterica, i buoni risultati di una scelta idonea dell’antibiotico sono rivelati dalla riduzione dei sintomi e dal prolungamento dell’intervallo di tempo tra gli episodi di riacutizzazione.

L’eradicazione si associa alla prevenzione dello sviluppo di ceppi resistenti, ad una maggiore riduzione della flogosi e ad una minore infiammazione in fase stabile (calo dei mediatori flogogeni dopo terapia antibiotica). In caso di eradicazione batterica i livelli delle citochine sono risultate significativamente inferiori rispetto sia ai livelli della fase basale, cioè precedente alla terapia antibiotica, che ai livelli presenti nei pazienti con mancata eradicazione.

Batteri e processo flogistico sono dunque strettamente connessi nel processo evolutivo della BPCO. Ricordo, a questo proposito, che i batteri stimolano la risposta infiammatoria dell’ospite mediante rilascio di citochine con danneggiamento delle vie aeree e che la colonizzazione batterica (batteri patogeni possono essere isolati nelle vie aeree di pazienti con BPCO anche fino all’ 82 % dei casi, in particolare nelle forme severe) produce rilevanti fenomeni: antigeni batterici nelle basse vie aeree provocano ipersensibilità, circostanza che amplifica l’iperreattività bronchiale ed induce un’infiammazione eosinofila; i batteri amplificano la flogosi che conduce all’ostruzione progressiva delle vie aeree; l’invasione e la persistenza batterica nei tessuti respiratori determinano persistenza della flogosi cronica ed alterata risposta ad agenti irritanti.

E’ presumibile che in un prossimo futuro l’approccio scientifico alla riacutizzazione della BPCO si aprirà a nuovi scenari di indagine come la epidemiologia molecolare e la moderna immunologia; tuttavia, gli studi attuali sulla flogosi delle vie aeree e sulla sua importanza patogenetica non possono essere sottovalutati. Se è vero, come è stato dimostrato, che il grado di flogosi (anche nella BPCO stabile) è correlato alla presenza e al livello di colonizzazione batterica, in buona sostanza una terapia strategicamente corretta nei confronti delle riacutizzazioni della BPCO dovrebbe mirare non solo alla eradicazione batterica dello stato di acuzie (che, come è stato riferito, genera indubbi benefici) ma anche alle misure di carattere preventivo orientando l’azione alla fase stabile della malattia.

E’ quanto suggerisce la pubblicazione segnalata che riferisce dei risultati positivi ottenuti con l’impiego a lungo termine dei macrolidi (in questo caso l’eritrocina) a basso dosaggio utilizzandone l’azione antinfiammatoria in modo da interrompere il noto circolo vizioso (flogosi – colonizzazione – infezione) che è alla base del processo di riacutizzazione della BPCO. Secondo questo studio l’assunzione di macrolidi a basso dosaggio per 1 anno ha prodotto riduzione del numero e della durata degli episodi di riacutizzazione di BPCO (forma da moderata a severa). Vi è da rilevare che, nonostante l’efficacia antiflogistica dell’antibiotico, i markers della flogosi non hanno mostrato variazioni tra i pazienti in trattamento con il macrolide e quelli con placebo.

L’articolo, per la verità, riprende un argomento ricorrente (dibattuto con motivazioni e contenuti d’altro genere per anni da detrattori e sostenitori della materia che non rare volte, con molta disinvoltura, si sono scambiate le parti): l’impiego degli antibiotici nel trattamento della BPCO, anche al di fuori della fase di riacutizzazione, come presidio terapeutico “preventivo” della progressione della malattia. La pubblicazione suggerita di Seemungal merita non poche riflessioni e approfondimenti per la sua novità scientifica e sarà importante conoscere in prossimi convegni ed iniziative editoriali le opinioni dei colleghi pneumologi sul tema.

Lo studio dimostra infatti risultati interessanti ma suscita non poche problematiche: intanto, la scelta terapeutica non sembra essere di facile accettazione da parte dei pazienti (l’assunzione dell’antibiotico supera in durata anche quella prevista per forme infettive notoriamente dal prolungato programma terapeutico come le patologie tubercolari anche se queste ultime necessitano di politerapia); l’uso degli antibiotici a lungo termine, come è noto, facilitano la comparsa di ceppi resistenti; infine, per quanto non siano emersi sostanziali effetti collaterali, è bene attendere altri trials prima di confermare definitivamente questo aspetto. Molti interrogativi rimangono pertanto aperti nonostante i buoni risultati emersi e sono necessari futuri studi per meglio definire i meccanismi patogenetici alla base del processo di riacutizzazione e sviluppare idonei sistemi di prevenzione.

A cura del Prof. Giovanni Puglisi