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Nell’ambito del tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), lo stadio III di malattia, o localmente avanzato, può essere suddiviso in tre sottocategorie: stadio IIIA, IIIB e IIIC, definite sulla base della diffusione locale (linfonodale) del tumore e quindi della possibilità o meno di intervento chirurgico.
Come incidenza, lo stadio III non resecabile rappresenta circa un terzo dei NSCLC ed interessa in Italia circa 1.000 casi ogni anno (1): in questo ambito, nei pazienti con un buon performance status (0-1), il trattamento consiste nella somministrazione di chemioterapia con doppietta a base di platino in associazione a radioterapia a dose definitiva (CRT) e successivo monitoraggio (2). Questo trattamento, che ad oggi rappresenta lo standard, permette una sopravvivenza a 5 anni di circa il 15% con una mediana di 28 mesi (3).
Dopo quasi 15 anni in cui questa strategia terapeutica ha rappresentato, con risultati piuttosto modesti, l’unica arma a disposizione, lo scenario è cambiato con l’approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) a Febbraio 2018 di un nuovo farmaco, il durvalumab, il primo immunoterapico con indicazione per questo stadio di malattia.
L’approvazione si è basata sui dati positivi dello studio di fase III PACIFIC, presentato da Luis Paz-Ares al congresso annuale ESMO (European Society of Medical Oncology) del 2017 e pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM), nel quale l’utilizzo del farmaco ha triplicato la sopravvivenza libera di malattia, rispetto alla terapia standard, con un miglioramento della Progression Free Survival (PFS) di 11,2 mesi rispetto al placebo e con una riduzione del 48% del rischio di progressione di malattia o di morte in tutti i pazienti indipendentemente dallo status del PD-L1. 
Il durvalumab è un anticorpo monoclonale umano anti-PD1 che, legandosi al PD-L1, blocca l’interazione con PD-1 e con CD80. Questa azione contrasta le tattiche di immunoevasione da parte del tumore e permette in questo modo il riconoscimento ed il killing delle cellule tumorali da parte dei linfociti T. Le ultime evidenze ipotizzano che il trattamento chemio-radioterapico somministrato ai pazienti possa aumentare il livello di espressione del PD-L1 da parte delle cellule tumorali, favorendo in tal modo una risposta immunitaria a lungo termine.
Il PACIFIC è uno studio randomizzato, in doppio cieco, di fase III condotto presso 235 centri in 26 paesi tra cui Asia, Australia, Europa, Nord America, Sud America e Sud Africa, che ha arruolato da Maggio 2014 ad Aprile 2016 un totale di 713 pazienti affetti da NSCLC localmente avanzato, non resecabile di stadio III che non erano progrediti dopo il trattamento standard chemio-radioterapico. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere (rapporto 2:1) durvalumab 10 mg/kg ogni 2 settimane o placebo, per un massimo di 12 mesi.
Il farmaco è stato somministrato 1-42 giorni dopo ≥ 2 cicli di chemio-radioterapia con stratificazione dei pazienti per età (< 65 anni vs ≥ 65), sesso e storia di fumo. Dei 713 pazienti, 709 hanno ricevuto almeno una dose di trattamento e di questi 473 hanno ricevuto durvalumab e 236 il placebo.
I risultati dell’analisi sono stati una PFS mediana di 16,8 mesi (IC 95% 13-18,1) nel braccio durvalumab rispetto ai 5,6 mesi (IC 95% 4,6-78) del braccio placebo, con un hazard ratio stratificata per progressione di malattia o morte di 0,52; IC 95% 0,42-0,65; p < 0,001. Il tempo mediano intercorso prima del decesso o della comparsa di metastasi a distanza è risultato superiore nei soggetti trattati con durvalumab rispetto al gruppo esposto a placebo (23,2 mesi vs 14,6 mesi; p < 0,001).
I dati relativi alla Overall Survival (OS), secondo end point primario dello studio, e gli aggiornamenti relativi alla PFS sono stati presentati a Settembre 2018, durante il Presidential Symposium della 19a Conferenza mondiale sul tumore del polmone dell’International Association for the Study of Lung Cancer (IASLC) a Toronto e contemporaneamente pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Durvalumab ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale rispetto allo standard di cura indipendentemente dall’espressione di PD-L1, riducendo il rischio di morte del 32% (HR 0,68; IC 99,73%: 0,47-0,997; p = 0,0025). I dati di PFS aggiornati a 16 mesi hanno mostrato il mantenimento del vantaggio del durvalumab rispetto al placebo (49,5 vs 26,7%, HR 0,51).
Per quanto riguarda il profilo di safety le tossicità sono risultate in linea con quanto già presentato in precedenza. Una tossicità di grado 3-4 si è presentata nel 30,5% dei pazienti in trattamento con durvalumab verso un 26,1% nei pazienti nel braccio placebo. L’evento avverso più frequente è stato la polmonite presentatasi in un 4,8% dei pazienti trattati con durvalumab verso il 2,6% nei pazienti nel gruppo placebo (4).
I risultati positivi, non solo in PFS, ma anche in OS, emersi dallo studio PACIFIC, indicano una nuova importante strategia terapeutica combinata e verosimilmente sinergica per i nostri pazienti.  NSCLC e stadio di malattia IIIB: la sfida che si apre è verso una gestione multidisciplinare del paziente con malattia localmente avanzata non operabile, in cui l’oncologo ed il radioterapista devono connettersi con il team di specialisti d’organo nella gestione ottimale del paziente e delle possibili tossicità legate ai trattamenti.
Durvalumab ha ricevuto l’approvazione da parte della Commissione Europea il 24 settembre 2018 ed attualmente il farmaco in Italia è disponibile con un programma di uso compassionevole.


Bibliografia

  1. AIOM, AIRTUM, FONDAZIONE AIOM. I numeri del cancro in Italia 2017. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2017.
  2. AIOM. Linee guida 2017. Neoplasie del polmone. http://media.aiom.it/userfiles/files/doc/LG/2017_LGAIOM_Polmone.pdf
  3. Uemura T, Hida T. Durvalumab showed long and durable effects after chemoradiotherapy in stage III non-small cell lung cancer: results of the PACIFIC study. J Thorac Dis 2018;10(Suppl 9):S1108-S1112.
  4. Antonia SJ, Villegas V, Daniel D, et al. Overall survival with durvalumab after chemoradiotherapy in stage III NSCLC. N Engl J Med 2018;DOI:10.1056/NEJMoa1809697.