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L’uvulopalatofaringoplastica (UPPP) è un intervento chirurgico diretto a ingrandire lo spazio retropalatale con la rimozione di tessuti ridondanti di palato molle, ugola e pilastri posteriori, e viene di solito eseguita insieme a tonsillectomia. Essa rappresenta una delle prime forme di terapia messe a punto per l’OSA. Dopo un’iniziale popolarità, l’UPPP è divenuta via via sempre meno apprezzata e utilizzata mentre andava emergendo un suo elevato tasso di insuccessi. Nel 1996 una review pubblicata su Sleep ha rilevato che meno della metà dei pazienti con OSA poteva dirsi migliorato in modo soddisfacente dopo UPPP. Più di recente, nel 2010 una metanalisi sulla stessa rivista ha messo in evidenza che la frequenza dei disturbi respiratori nel sonno (AHI) dopo UPPP, pur migliorando significativamente, restava in media piuttosto elevata. E’ stato però prospettato che vi siano criteri che consentano di preselezionare i pazienti in cui l’UPPP possa essere più efficace. Friedman nel 2002, partendo dall’ipotesi che la presenza di tonsille ipertrofiche e di un’orofaringe non eccessivamente ingombrato dalla lingua potesse rappresentare la situazione più favorevole per un successo dell’UPPP, in soggetti con BMI <40 kg/m2, ha ideato un sistema di scoring con tre gradi, basato sulla valutazione contemporanea delle dimensioni delle tonsille e del grado di visibilità del velo pendulo all’apertura della bocca, ed ha quindi osservato in uno studio retrospettivo che l’UPPP dava i risultati migliori, in termini di riduzione dell’AHI, nei soggetti con uno score di grado 1, cioè con tonsille molto prominenti e velo pendulo ben visibile. Non vi sono però ancora trial randomizzati controllati per la validazione dell’efficacia dell’UPPP in popolazioni selezionate.

Browaldh e coll. hanno eseguito uno studio randomizzato e controllato sugli effetti dell’UPPP sui disturbi respiratori nel sonno in pazienti OSA selezionati. Sono stati esclusi dallo studio soggetti con un punteggio alla scala di Friedmann di 3 (corrispondente ad associazione di tonsille piccole e velo pendulo nascosto dalla lingua), oppure che fossero stati precedentemente tonsillectomizzati o che avessero un BMI ≥36 kg/m2. Gli autori hanno esaminato in 32 pazienti trattati con UPPP la struttura del sonno e i disturbi respiratori notturni in due polisonnografie, delle quali una eseguita prima ed una sei mesi dopo l’intervento. Hanno poi paragonato le variazioni intervenute con quelle osservate nello stesso intervallo di tempo in 33 pazienti di controllo che non erano stati trattati. In entrambi i gruppi, né variazioni di peso nei sei mesi intercorrenti tra le due registrazioni né variazioni del tempo trascorso in posizione supina durante la registrazione polisonnografica erano state tali da potere influenzare i risultati. L’analisi dimostrava una riduzione dell’AHI molto maggiore nei soggetti operati rispetto ai controlli (soggetti operati da 53,3±19,7 a 21,1±16,7; controlli da 52,6±21,7 a 46,8±26,8), con 3 casi tra gli operati e 10 tra i controlli che avevano avuto un aumento. Altrettanto rilevanti erano le differenze nelle variazioni della saturazione ossiemoglobinica (ODI e SaO2 minima notturna), mentre, tra i parametri relativi alla struttura del sonno, le differenze si limitavano alla variazione della frequenza degli arousal. Le variazioni di AHI erano significativamente maggiori nei soggetti operati indipendentemente dal BMI (< o ≥30) e dallo score alla scala di Friedmann (1 o 2). Un’analisi di piccoli sottogruppi di pazienti suggeriva che la posizione della lingua potesse essere più importante delle dimensioni delle tonsille nel determinare l’esito dell’intervento. Le variazioni dopo UPPP di variabili non polisonnografiche, come sintomi o parametri metabolici, non sono state analizzate. Nelle conclusioni gli autori sottolineano che nella loro casistica gli effetti dell’UPPP sono clinicamente rilevanti e sicuramente migliori rispetto a quanto atteso sulla base di precedenti valutazioni in altre popolazioni; inoltre, raccomandano il trattamento dell’OSA con UPPP in pazienti selezionati secondo i loro criteri, particolarmente quando non possano o non vogliano utilizzare CPAP o dispositivi orali.

Uno dei meriti principali di questo lavoro è di avere valutato l’utilità dell’UPPP nelle situazioni in cui si poteva più ragionevolmente prevederne un beneficio. Infatti, la cattiva fama di questo intervento è anche legata alle analisi dei suoi effetti su popolazioni di pazienti con OSA non preselezionate. Un altro importante merito è il disegno randomizzato e controllato. Il significato dei risultati ottenuti, cioè la reale efficacia dell’UPPP in soggetti preselezionati, va però valutato con attenzione e cautela. Negli ultimi anni si è molto discusso su cosa possa essere considerato un “successo” nel trattamento dell’OSA. Nella valutazione dell’efficacia della terapia chirurgica, uno dei criteri più utilizzati è stato quello di una riduzione dell’AHI ad un valore <20 oppure, qualora l’AHI prima dell’intervento fosse <40, di un suo dimezzamento. Questo stesso criterio non è stato immune da critiche, anche perché le più importanti linee guida attuali considerano meritevole di trattamento qualunque soggetto con OSA che abbia un AHI >15. Su queste basi, i risultati ottenuti da Browaldh e coll., con un AHI medio post-intervento di 21,1, non potrebbero essere considerati favorevolmente (il numero esatto di soggetti che mantenevano dopo l’intervento un AHI >20, approssimativamente ricavabile dalla figura 3, non è chiaramente indicato). Rimane il fatto che la riduzione media dell’AHI dopo UPPP era consistente, pari al 60%. Fino a che punto una simile riduzione possa rappresentare un successo, anche se parziale, e avvantaggiare i pazienti quando l’AHI rimane piuttosto elevato è difficile da dire, ed i pareri a questo riguardo potrebbero essere diversi. La risposta potrebbe variare da caso a caso, in rapporto anche ai risultati ottenuti da ciascun paziente sulle condizioni globali di salute, alle alternative terapeutiche concretamente possibili ed ai risultati attesi da esse. Gli autori del lavoro incoraggiano a non abbandonare l’UPPP come possibile trattamento per l’OSA, ma a considerarlo ancora come una valida opzione terapeutica per alcuni pazienti.