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Negli ultimi anni sono stati meglio definiti alcuni meccanismi alla base della patogenesi delle apnee ostruttive nel sonno (OSA); in particolare, oltre ad una predisposizione anatomica di vario grado sempre presente nei pazienti con OSA, vi sono dei fattori non anatomici o funzionali che possono contribuire alla genesi delle apnee nel sonno o ad evitare la loro comparsa pur in presenza di una predisposizione anatomica. Questi fattori non anatomici sono la reattività ed efficienza dei muscoli dilatatori delle vie aeree superiori, la pressione critica di chiusura della faringe, il loop-gain, la soglia di arousal.
L’individuazione nel singolo paziente di queste caratteristiche permette di personalizzare meglio la terapia anche associando fra loro più alternative terapeutiche in modo da ottenere la normalizzazione del pattern respiratorio nel sonno.
Come sappiamo sono poche le opzioni terapeutiche conservative disponibili per il trattamento dell’OSA con la maggior parte dei pazienti trattati ancora con pressione positiva continua nelle vie aeree (CPAP) nonostante il problema della aderenza a lungo termine. In alternativa abbiamo i dispositivi di avanzamento mandibolare che, anche se meglio tollerati rispetto alla CPAP, sono meno efficaci e possono determinare nel tempo effetti collaterali a livello delle arcate dentarie limitando il loro utilizzo, piuttosto che i sensori per prevenire la posizione supina nel sonno che comunque hanno una indicazione in una quota di pazienti molto selezionati.
Le uniche modalità di trattamento dell’OSA centrate sui muscoli dilatatori delle vie aeree superiori sono la stimolazione del nervo ipoglosso che, pur se molto promettente, ha anche un grande limite di applicabilità legato ai costi, e la terapia farmacologica in grado di aumentare l'attività dei muscoli durante il sonno.
Inizialmente era stata data importanza alla serotonina come mediatore dell’attività muscolare, ma l’utilizzo di farmaci serotoninergici ha dato tuttavia effetti limitati sull’attività del genioglosso. Successivamente sono stati valutati gli antidepressivi triciclici come la desipramina e la protriptilina con risultati contrastanti a livello soggettivo e strumentale.
Questi insuccessi hanno permesso però di individuare due fattori chiave importanti nel determinismo delle apnee nel sonno: uno legato alla riduzione durante il sonno del drive noradrenergico endogeno che è una delle cause prime dell’ipotonia del genioglosso durante il sonno NREM e l’altro è l’inibizione muscarinica alla base dell’ipotonia faringea durante la fase REM.
Partendo da queste conoscenze è stato recentemente pubblicato sulla rivista AJRCCM un trial crossover randomizzato controllato in doppio cieco con placebo che ha valutato l’effetto sulla gravità dell’OSA e sulla reattività del genioglosso dell’associazione di un inibitore selettivo del reuptake della noradrenalina (atomoxetina) e di un farmaco antimuscarinico (ossibutina).
L’atomoxetina è un inibitore selettivo della ricaptazione della norepinefrina approvato negli Stati Uniti per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività negli adulti e nei bambini. L’aumento della concentrazione di norepinefrina durante il sonno nel tronco cerebrale potrebbe stimolare i motoneuroni delle vie aeree superiori ad un livello simile a quello in veglia. L’ossibutinina è un antimuscarinico che ha un’elevata affinità per tutti i recettori muscarinici ed è approvato negli Stati Uniti per il trattamento della iperattività vescicale. Il blocco muscarinico può prevenire l’effetto inibitorio dell’acetilcolina sul tono dei muscoli delle vie aeree superiori durante il sonno REM e aumentare la concentrazione di acetilcolina disponibile per i recettori con effetto sinergico con la norepinefrina nella stimolazione dei muscoli dilatatori delle vie aeree superiori.
Il trial ha coinvolto 20 pazienti (l’età mediana dei partecipanti era di 53 anni [46-58 anni], l’indice di massa corporea era 34,8 kg/m2 [30,0-40,2 kg/m2], l’AHI 28,5/h [10,9-51,6 eventi/h]). Sono stati sottoposti a due polisonnografie a distanza di una settimana, la prima con placebo e poi con l’associazione atomoxetina 80 mg e ossibutina 5 mg (ato-oxi). Successivamente 9 pazienti hanno eseguito due ulteriori polisonnografie in due notti differenti assumendo i farmaci separatamente e 6 pazienti hanno proseguito il trattamento continuativamente per una settimana.
L’endpoint primario era la riduzione dell’AHI e quello secondario la risposta del muscolo genioglosso alla oscillazioni della pressione esofagea (l'attività elettromiografica dal muscolo genioglosso è stata misurata utilizzando due elettrodi intramuscolari).
Complessivamente, la combinazione atomoxetina-ossibutina ha ridotto l'AHI di ~ 16 eventi/h e del 63% rispetto al placebo. Il nadir della saturazione di ossigeno è aumentata con ato-oxy rispetto a placebo. La saturazione baseline era 98,8% [da 98,1 a 99,4] con placebo vs 99,5% [da 99,3 a 99,7] con ato-oxy (p = 0,048); la desaturazione media associata agli eventi respiratori durante il sonno NREM era del 3% [da 1,7 a 4,8%] con placebo vs 1,9% [da 1,5 a 3,7%] con ato-oxy, p = 0,005; la desaturazione media associata con eventi respiratori in REM era 3,8% [da 2,1 a 7,7%] con placebo vs 1,5% [1 a 2,1%] con ato-oxy, p = 0,02. Gli arousal respiratori erano più frequenti con placebo rispetto alla notte con ato-oxy (76,6% [da 50 a 91%] vs 43% [da 20 a 70%] rispettivamente, p < 0,001). C’era una relazione diretta tra la riduzione di AHI e la riduzione dell’indice di arousal. I pazienti con l’AHI più alto nella notte in placebo hanno avuto il maggior miglioramento dell’indice di arousal, dell’efficienza del sonno e della qualità del sonno soggettiva. La frequenza cardiaca era di 2,6 battiti più alta con ato-oxy rispetto al placebo e non ha avuto effetti significativi sulla pressione sanguigna (sistolica o diastolica). La reattività muscolare del genioglosso era maggiore con ato-oxy rispetto al placebo (6,3 [da 3,0 a 18,3] contro 2,2% [da 1,1 a 4,7] baseline/cmH2O; p < 0,001).
Nel sottogruppo di 9 pazienti che hanno eseguito la polisonnografia addizionale per valutare l’impatto sulla gravità dell’OSA di atomoxetina e ossibutinina assunte separatamente non vi erano effetti significativi sui valori dell’AHI di atomoxetina da sola o ossibutinina da sola rispetto al placebo, nonostante il significativo effetto dell’associazione ato-oxy rispetto a placebo (p = 0,011).
Per confermare i risultati del trial e testare la durata nel tempo dell’efficacia di questi farmaci, gli autori hanno raccolto i dati su 6 pazienti che hanno assunto la combinazione ato-oxi continuativamente per una settimana. Anche in questa fase è stata confermata la riduzione nell’AHI suggerendo come gli effetti dei due farmaci a lungo termine potrebbero essere simili a quelli della singola notte.
Sono stati riportati alcuni effetti indesiderati con l’assunzione di ato-oxy come difficoltà di iniziare la minzione, bocca secca, mal di testa al mattino e insonnia (difficoltà nell'iniziare e mantenere il sonno). E’ importante sottolineare come l’atomoxetina essendo un farmaco adrenergico è controindicato nei pazienti con gravi condizioni cardiovascolari come insufficienza cardiaca o cardiomiopatie, mentre l’ossibutinina potrebbe causare gravi effetti collaterali anticolinergici dose-dipendenti.
In conclusione questo trial ha mostrato per la prima volta come sia possibile la risoluzione farmacologica dell'OSA utilizzando una combinazione di farmaci noradrenergici e antimuscarinici che hanno effetto sui muscoli dilatatori delle vie aeree superiori durante il sonno. Questo ci potrà offrire in futuro una alternativa alla CPAP per il trattamento dell’OSA in pazienti adeguatamente selezionati in base alle loro caratteristiche funzionali.

Bibliografia di riferimento

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