L'articolo (e le pubblicazioni cui fa riferimento) contiene un esame sostanziale di un argomento di grande attualità e di rilevanti problematiche pneumoinfettivologiche e merita senza alcun dubbio alcune considerazioni ed integrazioni.
Lo Staphylococcus aureus è una specie batterica che può causare una gran varietà di infezioni, da forme cutanee lievi a polmoniti severe e sepsi. Da ricordare il ruolo non indifferente del patogeno nelle polmoniti post-influenzali in epidemie recenti e meno recenti. La genetica adattabilità dello S.aureus ha condotto alla multiresistenza del patogeno, MRSA (Stafilococco meticillino resistente) dopo l'introduzione di questo antibiotico nella pratica clinica nel 1960.
Inizialmente MRSA era soltanto un patogeno nosocomiale; dalla metà degli anni '90 lo ritroviamo tra gli agenti causanti le polmoniti acquisite in comunità (CAP) di grado severo. Tale circostanza contenuta nell'articolo segnalato è confermata dalla constatazione che, per quanto riguarda le CAP, oltre all'incrementato rischio di infezione con ceppi resistenti di Streptococcus pneumoniae, esiste un incrementato rischio di infezione con patogeni meno comuni, usualmente associati alle infezioni ospedaliere come lo Pseudomonas, l'Acinetobacter species e per l'appunto MRSA.
Questo è un fenomeno non poco preoccupante in quanto sta a significare che le polmoniti nosocomiali (HAP) e le CAP tendono sempre più ad uniformarsi. Permane tuttavia di notevole utilità pratica distinguere le HAP dalle CAP. A tal proposito, per quanto riguarda in particolare le polmoniti stafilococciche, è bene chiarire come non sia sufficiente il solo criterio epidemiologico, basato sulla definizione tradizionale delle due polmoniti a tutti nota, per differenziare i ceppi di origine nosocomiale (Hospital Acquired MRSA, HA-MRSA) dai ceppi di origine comunitaria (Community Acquired MRSA, CA-MRSA). E la distinzione tra ceppi di origine comunitaria e nosocomiale è importante per motivi di carattere preventivo e terapeutico. In questo senso i progressi scientifici raggiunti dalla microbiologia rappresentano un notevole contributo al problema. Esaminiamo in quale modo.
La meticillino-resistenza è dovuta alla presenza nel genoma di un elemento, la Staphylocococcal cassette chromosome mec (SCCmec), in grado di codificare per una variante della penicillin binding con una ridotta affinità per la meticillina. La "cassetta" esiste in diverse varianti, alcune delle quali caratterizzate da fattori di resistenza aggiuntivi. Ne sono state identificate cinque varianti genetiche (I-V): gli HA-MRSA sono portatori di SCCmec di tipo I, II e III, mentre i CA-MRSA del tipo IV e V. Inoltre questi ultimi sono portatori di un fattore di virulenza, un gene codificante per la tossina di Panton-Valentine leucocidina (PVL), responsabile di fenomeni necrotizzanti come la polmonite necrotizzante. Le differenze tra HA-MRSA e CA-MRSA, testé riportate, evidenziandone le caratteristiche, possono dunque facilitare l'orientamento terapeutico.
Si possono schematicamente riassumere nel modo seguente: presenza di SCCmec tipo I, II e III, assenza di PVL e multiresistenza in HA-MRSA; presenza di SCCmec tipo IV e V, presenza di PVL e sensibilità ad alcuni antibiotici diversi dai beta-lattamici in CA-MRSA (clindamicina, fluorchinolonici, trimethoprim-sulfametossazolo, tetracicline e rifampicina, sebbene il fenomeno della resistenza sia in continuo incremento).
Le linee guida 2007 delle Società Scientifiche IDSA e ATS suggeriscono l'impiego di linezolid e vancomicina (quest'ultima di prima linea nel trattamento delle manifestazioni invasive del patogeno). Nella nostra esperienza clinica abbiamo ottenuto risultati non inferiori agli antibiotici prima citati, con l'impiego della teicoplanina, un glicopeptide che ha mostrato di essere maneggevole e ben tollerato.
I ceppi MRSA hanno raggiunto livelli epidemici da non sottovalutare e certamente identificare i ceppi portatori di cassetta cromosomica tipo IV e V (comunitari) e rilevare la PVL, che si potrebbe ipotizzare quale marker di CA-MRSA, costituisce un'utile esercitazione; tuttavia, sono necessari ulteriori ricerche epidemiologiche e di biologia molecolare sollecite e attendibili per una gestione decisiva del fenomeno o almeno in grado di arrestarlo.
A cura del Prof. Giovanni Puglisi