Le attuali linee guida prevedono l’utilizzo nella terapia del NSCLC metastatico, di 4 fino a 6 cicli di chemioterapia basata su un derivato del platino ed un farmaco di terza generazione. Questo nella convinzione, supportata da numerose esperienze cliniche, che il massimo risultato si ottenga con questo schema globale e che l’ulteriore somministrazione di cicli terapeutici non aggiunga nulla al risultato ottenuto aumentando solo la tossicità. Le stesse linee guida consigliano di attendere una progressione di malattia ed allora, compatibilmente con la condizione del paziente, iniziare una terapia di seconda linea.
L’idea di proseguire con una terapia di mantenimento non è nuova in quanto fin dagli albori della chemioterapia la vincristina era, ad esempio, utilizzata settimanalmente con questa finalità ma pochi successi. Più recentemente la vinorelbina è stata testata in monoterapia di mantenimento senza successo e sono in corso studi che utilizzano gli inibitori della tirosin chinasi (gefitinib ed erlotinib) dopo il loro utilizzo in associazione a chemioterapia tradizionale in prima linea, nei pazienti responsivi.
Prendendo spunto da queste ed altre premesse legate alla necessità di attuare una terapia di mantenimento con farmaci tollerabili, il gruppo di Ciuleanu con la supervisione di Belani, ha portato a termine uno studio di fase 3 multicentrico che ha coinvolto 83 centri di 20 paesi. Lo studio era rivolto a pazienti pretrattati in prima linea (senza Pemetrexed) non in progressione, affetti da neoplasia NSCLC in stadio IIIB e IV. I 663 pazienti sono stati randomizzati con criterio 2:1, a ricevere Pemetrexed 500 mg/m2 ogni 21 gg più terapia di supporto fino a progressione versus un gruppo di controllo seguito con la sola terapia di supporto (BSC). I risultati sono chiaramente a favore del braccio Pemetrexed: tempo alla progressione 4.3 vs 2.6 mesi, sopravvivenza globale 13.4 vs 10.6 mesi.
Naturalmente la tossicità è stata più impegnativa nel braccio di studio con un 16% di grado 3 vs 4%, ed, al pari, sono stati più numerosi i pazienti che hanno dovuto interrompere la terapia (5% vs 1%). Non ci sono comunque state morti tossiche in nessuno dei due gruppi. Un dato molto importante riguarda il numero di pazienti sottoposti a chemioterapia alternativa (a discrezione del ricercatore), una volta in progressione dopo la terapia di mantenimento. Nel gruppo Pemetrexed il 51% mentre nel gruppo placebo il 67%.
Il lavoro si conclude con una valutazione positiva sull’uso del Pemetrexed in terapia di mantenimento. Gli Autori notano come i risultati migliori siano stati ottenuti nel sottogruppo di pazienti affetti da neoplasie non squamose: gli studi che hanno indicato nel Pemetrexed un’efficacia maggiore nei non squamosi sono successivi alla elaborazione del protocollo dello studio e questo ha determinato la scelta allargata.
Considerazioni: Lo studio è stato sottoposto ad una serie di critiche metodologiche soprattutto sulla differenza di percentuale di somministrazione complessiva del Pemetrexed fra primo e secondo gruppo. In particolare nel primo gruppo il 98% di pazienti riceve il Pemetrexed come chemioterapia di seconda linea ed il 51% prosegue con la terza linea facoltativa. Nel gruppo di controllo nessun paziente riceve terapia nel periodo di mantenimento naturalmente, mentre nel periodo facoltativo la terapia viene somministrata al 67% di pazienti di cui solo il 18% trattati con Pemetrexed.
Da questo appare evidente uno squilibrio fra i due gruppi che si riflette sulla sopravvivenza globale. Un’altra osservazione mossa allo studio riguarda il fatto che iniziare la terapia in un momento in cui la progressione di malattia, pur se radiologicamente evidente, non ha ancora dato segni clinici di decadimento fisico, può costituire un vantaggio per il paziente. Tale vantaggio, presente nel primo gruppo potrebbe prescindere dal tipo di farmaco usato ed indurre un ulteriore bias.
Belani risponde alle critiche con una lettera riaffermando che secondo la sua valutazione la terapia di mantenimento costituisce un valido schema terapeutico attualmente perseguibile. Non risponde però alle osservazioni.
Il mio parere è che forse è prematuro accettare la terapia di mantenimento senza altri studi. Il concetto che mi sembra interessante è che il paziente dovrebbe essere trattato finchè le sue condizioni non sono inficiate dalla malattia e dalla chemioterapia precedente. Quanto più siamo tempestivi nel riconoscimento della progressione, tanto più possiamo procedere con la terapia. Va comunque tenuto conto anche della volontà del paziente che può desiderare un periodo di pausa fra una linea terapeutica e l’altra.
A cura del Prof. Lugi Portalone