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I dispositivi mini invasivi per la rimozione extracorporea dell’anidride carbonica (ECCO2-R) funzionano in maniera analoga a quelli utilizzati per la terapia sostitutiva renale.
Le principali caratteristiche di questi sistemi sono: un basso flusso ematico extracorporeo (0,4-1L/min), una membrana filtrante che funziona come un polmone neonatale, l’utilizzo di un catetere a doppio lume di piccolo calibro (14-18 French) e la necessità di dosi di eparina relativamente basse (3-19 UI/kg).
Contrariamente all’ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO), i sistemi ECCO2R rimuovono l’anidride carbonica (CO2) senza significativi effetti sull’ossigenazione del sangue. L’ECMO necessita infatti di flussi di sangue molto elevati (3-5 L/min) ed è in grado di dare un supporto respiratorio totale sia in termini di ossigenazione che di rimozione di CO2.
Sebbene la rimozione di anidride carbonica sia una tecnica conosciuta fin dagli anni ’70, recenti miglioramenti riguardanti la tecnologia di tali sistemi ne ha stimolato un rinnovato interesse. Tuttavia, le evidenze scientifiche a supporto del loro utilizzo sono ancora molto limitate. Infatti, la maggior parte dei dati pubblicati provengono da studi osservazionali e caso-controllo. Inoltre, la metodica è ancora gravata da un tasso di complicanze elevato.
L’ ECCO2R è stato proposto sia in pazienti con insufficienza respiratoria acuta (IRA) ipossiemica severa tipo ARDS, che in pazienti con IRA ipossiemica-ipercapnica. Il razionale nei pazienti con sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è quello di permettere una ventilazione con volumi correnti molto bassi (“ventilazione ultra-protettiva”) in modo da evitare sia i danni polmonari indotti dal ventilatore (VILI) che gli effetti deleteri dell’ipercapnia che consegue alla riduzione della ventilazione minuto (vasodilatazione cerebrale e sistemica, depressione cardiovascolare, aritmie, vasocostrizione polmonare etc).
Al contrario, nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta ipercapnica secondaria a BPCO riacutizzata, l’ECCO2R è stato utilizzato con risultati discreti sia per evitare l’intubazione che per promuovere lo svezzamento precoce dall’intubazione. Infine, un altro campo di applicazione dell’ECCO2R è il bridge per il trapianto polmonare.
Il lavoro che pongo all’attenzione del lettore è uno studio multicentrico di Fanelli e collaboratori. Lo studio ha coinvolto 15 pazienti con ARDS di grado moderato in accordo con la recente definizione di Berlino [100 <PaO2/FiO2< 200 con una pressione di fine espirazione (PEEP) > di 5 cmH2O]. Lo scopo è stato quello di valutare in questa tipologia di pazienti la sicurezza e la fattibilità di una strategia di ventilazione meccanica “ultra-protettiva” comprendente l’erogazione di volumi correnti molto bassi (VT = 4 ml/kg del peso corporeo ideale) associata all’utilizzo di un sistema di rimozione extracorporea di anidride carbonica basso flusso. La durata media del trattamento è stata di tre giorni. La diminuzione progressiva del VT (da 6.2 ± 0,7 ml/Kg del basale fino a valori pari a 4.8 ± 0,7 ml/Kg) ha portato ad una significativa riduzione della Pressione di Plateau (Pplat) e della Driving Pressure (Pplat – PEEP) rispetto ai valori basali. Inoltre, l’associazione dell’ECCO2R ha permesso di prevenire l’acidosi respiratoria che inevitabilmente consegue alla riduzione della ventilazione minuto. Circa il 40% dei pazienti (6 su 15) ha manifestato, comunque, una severa ipossiemia che è stata trattata associando la “prone position”; in due casi, inoltre, è stato necessario convertire il trattamento in ECMO veno-venoso. Infine, solamente due pazienti hanno manifestato effetti collaterali, quali l’emolisi intravascolare e il malfunzionamento della pompa per inginocchiamento del catetere venoso centrale.
Come riportato dal Professor Gattinoni nell’editoriale pubblicato a commento dell’articolo di Fanelli, diversi sono i meccanismi che sono alla base del peggioramento dell’ipossiemia. Ad esempio, fenomeni di disventilazione caratterizzati da atelettasie gravitazionali e riassorbimento delle atelettasie dovuti rispettivamente ad una riduzione della pressione media nelle vie aeree e ad una critica riduzione del rapporto ventilazione/perfusione. Ciò implica che una pressione sufficiente deve essere applicata per riaprire le nuove aree atelettasiche. E’ stato stimato che in pazienti con ARDS con Pplat < 25 cmH2O il 30-40% del polmone reclutabile rimane chiuso. Infine, durante l’ECCO2R il quoziente respiratorio si riduce parallelamente alla eliminazione spontanea della CO2. Pertanto per mantenere la stessa PaO2, è necessario aumentare la FiO2.
A questo punto, però, una domanda sembra legittima: abbassare il target di Pplat ad un valore minore di 25 cmH20 è realmente utili in termini di sopravvivenza in questi pazienti?
Lo studio randomizzato controllato denominato SUPERNOVA, promosso dalla Società Europea di Terapia Intensiva, attualmente in corso, aggiungerà importanti informazioni per rispondere a tale quesito.


Bibliografia
1. Fitzgerald M, Millar J, Blackwood B, et al. Extracorporeal carbon dioxide removal for patients with acute respiratory failure secondary to the acute respiratory distress syndrome: a systematic review. Crit Care 2014; 18:222.
2. Sklar MC, Beloncle F, Katsios CM, et al. Extracorporeal carbon dioxide removal in patients with chronic obstructive pulmonary disease: a systematic review. Intensive Care Med 2015; 1:1752–62.
3. Fanelli V, Ranieri MV, Mancebo J, et al. Feasibility and safety of low-flow extracorporeal carbon dioxide removal to facilitate ultra-protective ventilation in patients with moderate acute respiratory distress syndrome. Crit Care 2016; 20:36.
4. Gattinoni L. Ultra-protective ventilation and hypoxemia. Crit Care 2016; 20:130.
5. A strategy of ultraprotective lung ventilation with extracorporeal CO2 removal for new-onset moderate to severe ARDS (SUPERNOVA). http://www.esicm.org/research/trials-group/supernova.