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La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), malattia frequente, prevenibile e trattabile, è caratterizzata da una persistente limitazione al flusso aereo, solitamente evolutiva e si associa ad una aumentata risposta infiammatoria cronica a carico delle vie aeree e dei polmoni dovuta principalmente al fumo di tabacco, sebbene si sappia che anche l’esposizione ad altri inquinanti inalatori, come polveri organiche ed inorganiche, agenti chimici e fumi, inquinamento urbano e inquinamento interno da biocombustibili ne possono essere causa (1).
La prevalenza, la morbilità e la mortalità di questa patologia variano tra i vari Paesi e tra i diversi gruppi di popolazione nell’ambito di una stessa nazione. Attualmente è noto che la BPCO è la terza causa di morte nel mondo e, secondo le GOLD, 3,2 milioni di persone sono morte per BPCO nel 2015 con un aumento dell’11,6% dei decessi per tale patologia rispetto al 1990 (1).
I pazienti affetti da BPCO mostrano, nelle fasi più avanzate di tale patologia, un progressivo declino dello stato di salute e della qualità di vita, un aumento dei sintomi e una maggiore necessità di aiuto e di supporto da parte dei familiari, mentre ricevono pochissimi trattamenti palliativi finalizzati ad alleviare i sintomi e la sofferenza del fine vita.
Sebbene già nel 2004 le NICE e un paper dell’ATS/ERS sottolineasse l’importanza dei trattamenti palliativi nella gestione della BPCO (2, 3), un recente studio condotto nel Regno Unito ha dimostrato che tra il 2004 e il 2015 solo un paziente su cinque deceduto per BPCO nel Regno Unito aveva ricevuto cure palliative e poco meno della metà di questi le aveva ricevute negli ultimi sei mesi di vita (4). E’ noto che la maggior parte dei pazienti e i loro familiari non hanno chiaro che la BPCO è una condizione progressivamente invalidante e sviluppano aspettative irrealistiche sui trattamenti, quali ad esempio la ventilazione non invasiva. Le cure palliative attualmente non sono finalizzate al trattamento solo delle fasi terminali delle malattie oncologiche, ma alla cura dei pazienti affetti da malattia in fase evolutiva ed irreversibile, e sono finalizzate al controllo dei sintomi più che della patologia di base di questi. Hanno l’obiettivo non di modificare la storia della malattia, ma di controllare sintomi e problematiche psicologiche, sociali e spirituali al fine di far raggiungere al paziente la migliore qualità. Pertanto anche per i pazienti affetti da BPCO in fase avanzata i team specializzati sulle cure palliative potrebbero rappresentare un valido strumento per gestire il paziente non solo dal punto di vista pneumologico, ma con un approccio multidimensionale al fine di migliorare la qualità di vita del paziente, dare supporto anche ai familiari (sia nelle fasi avanzate della malattia che dopo la morte del paziente per l’elaborazione del lutto), individuare l’opportuno timing durante il quale discutere con il paziente la prognosi della sua malattia, le sue volontà riguardo ad esempio la ventilazione invasiva e non invasiva e la rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiorespiratorio (5) e le sue eventuali direttive anticipate. Vi è anche evidenza scientifica a sostegno di ciò: la pianificazione delle cure da attuarsi nelle fasi più avanzate della malattia migliora il fine vita del paziente, riduce la depressione nei parenti sopravvissuti (6, 7) e riduce i costi delle cure (8). Farmaci come gli oppiacei possono alleviare la dispnea e l’affanno, l’ossigenoterapia può talvolta offrire dei benefici anche quando il paziente non è ancora francamente ipossiemico e la terapia comportamentale cognitiva e gli interventi psicoterapeutici mente-corpo (ad esempio terapia basata sulla consapevolezza, le tecniche di rilassamento e lo yoga) possono controllare ansia e depressione quanto la terapia farmacologica.
E’ importante che tra medico e paziente si instauri una comunicazione aperta anche sul tema della morte al fine di dar la possibilità al paziente di discutere dei suoi problemi e dei suoi timori connessi al fine vita. Tuttavia, la maggior parte dei medici ha difficoltà sia ad affrontare con il paziente il fine vita per la maggior difficoltà di predire la prognosi della BPCO rispetto al cancro, sia perché i medici spesso si sentono a disagio nel sollevare il problema del fine vita e deliberatamente evitano di farlo. Esistono, tuttavia, strategie pratiche che possono essere utilizzate per facilitare queste discussioni: usare l’incertezza per facilitare la discussione; creare un rapporto costruttivo con i pazienti; mostrarsi con il paziente rispettoso ed aperto, iniziare un percorso di dialogo aperto dall’inizio del percorso della malattia, utilizzare le tappe del decorso della malattia come la riacutizzazione o il ricovero per affrontare la prognosi. In particolare, come già avviene in ambito oncologico, è utile impiegare la comunicazione come un atto terapeutico. Il medico dovrebbe esser formato ed esser in grado di farsi carico di tuo ciò che riguarda il paziente, dal sintomo al suo significato, dagli accertamenti diagnostici alle sue interpretazioni, dalla paura di soffrire alla paura della morte. La comunicazione dovrebbe divenire un processo relazionale che si concretizza nel raccogliere informazioni dal paziente per stabilire il suo livello di consapevolezza, le sue aspettative, le sue preferenze, la capacità di affrontare una cattiva notizia; nell’offrire informazioni comprensibili, modulate sui bisogni, i desideri, le caratteristiche psicosociali, demografiche e culturali del paziente; nel supportare il paziente nel confronto con l’impatto emotivo suscitato dalla comunicazione; nel condividere una strategia relativa al piano di cura. Le cure palliative dovrebbero esser note e date regolarmente ai nostri pazienti con BPCO in fase avanzata. Le stesse GOLD lo raccomandano: tutti i medici che curano la BPCO dovrebbero esser consapevoli dell’efficacia delle cure palliative nell’alleviare i sintomi e le dovrebbero utilizzare nella pratica clinica (1). Inoltre i medici che gestiscono pazienti affetti da BPCO in fase avanzata dovrebbero riflettere anche su quanto affermato da Cicely Saunders, fondatrice del movimento dell’hospice moderno nel Regno Unito: "Come le persone muoiono rimane nella memoria di coloro che vivono” (9).

 Bibliografia

  1. Soriano JB, Abajobir AA, Abate KH, et al. Global, regional, and national deaths, prevalence, disability-adjusted life years, and years lived with disability for chronic obstructive pulmonary disease and asthma, 1990-2015: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2015. Lancet Respir Med 2017;5:691-706.
  2. National Institute for Clinical Excellence (NICE). Chronic obstructive pulmonary disease. National clinical guideline for management of chronic obstructive pulmonary disease in adults in primary and secondary care. Thorax 2004;59(Suppl. 1):1-232.
  3. Celli BR, MacNee W. Standards for the diagnosis and treatment of patients with COPD: a summary of the ATS/ERS position paper. Eur Respir J 2004;23:932-46.
  4. Bloom CI, Slaich B, Morales DR, et al. Low uptake of palliative care for COPD patients within primary care in the UK. Eur Respir J 2018;51:1701879.
  5. Gardiner C, Gott M, Small N, et al. Living with advanced chronic obstructive pulmonary disease: patients concerns regarding death and dying. Palliat Med 2009;23:691-7.
  6. Detering KM, Hancock AD, Reade MC, et al. The impact of advance care planning on end of life care in elderly patients: randomised controlled trial. BMJ 2010;340:c1345.
  7. Klingler C, in der Schmitten J, Marckmann G. Does facilitated advance care planning reduce the costs of care near the end of life? Systematic review and ethical considerations. Palliat Med 2016;30:423-33.
  8. MacPherson A, Walshe C, O’Donnell V, et al. The views of patients with severe chronic obstructive pulmonary disease on advance care planning: a qualitative study. Palliat Med 2013;27:265-72.
  9. Saunders C. Pain and impending death. In: Wall PD, Melzak R, eds. Textbook of Pain. 2nd Edn. Edinburgh: Churchill Livingstone 1989, pp. 624-31.