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Ho ritenuto particolarmente interessante l’articolo in quanto gli autori effettuano una rivalutazione critica delle conoscenze attuali in materia di beta-bloccanti nella BPCO, campo questo ancora di difficile lettura.
La comorbilità cardiovascolare è comune nei pazienti affetti da BPCO, poiché condivide il principale fattore di rischio, il fumo di sigaretta, in aggiunta agli altri fattori di rischio, tra cui la predisposizione genetica, l'infiammazione sistemica e l'invecchiamento (1).
Nei pazienti con BPCO le principali indicazioni all'uso dei beta-bloccanti sono la presenza di insufficienza cardiaca e di infarto del miocardio. Queste due indicazioni sono valide e comunemente accettate e confermate negli studi registrativi e avvalorate da meta-analisi (2). Diverso è il discorso della malattia coronarica stabile, dove i beta-bloccanti non hanno dimostrato effetti benefici (3).
Un altro possibile obiettivo della terapia con beta-bloccanti può essere la disfunzione diastolica. Tuttavia, una meta-analisi sembra suggerire che gli effetti benefici dei beta-bloccanti in questi pazienti siano meno chiari (4).
La questione più importante per quanto riguarda un uso più diffuso dei beta-bloccanti nella BPCO è la preoccupazione inerente l'azione beta-2 antagonista e l’associata costrizione della muscolatura liscia delle vie aeree che può avvenire anche con agenti cardioselettivi, i quali mostrano un'attività che blocca preferenzialmente i recettori beta-1, soprattutto nei pazienti gravi più suscettibili e con riserva respiratoria compromessa.
L'articolo prende in considerazione vari studi inerenti l'azione dei beta-bloccanti sulle riacutizzazioni e sulla mortalità: le due meta-analisi citate sono favorevoli come numeri; tuttavia, si tratta di studi osservazionali, non di studi randomizzati definitivi e, pertanto, non è ancora possibile eliminare la possibilità di confondimento. Si rimane in attesa di futuri studi più definitivi.
Viene quindi segnalata una certa reticenza da parte del mondo pneumologico all'uso dei beta-bloccanti, portando dati in merito a questa affermazione; vengono anche esaminati lavori inerenti all'uso su lungo periodo dei beta-bloccanti e al loro effetto sulla funzione respiratoria.
Vengono presi in considerazione i diversi beta-bloccanti e alcuni studi che li riguardano, andando a confrontare il loro effetto sulla funzione respiratoria. La conclusione è che nella BPCO è prudente scegliere un agente selettivo come bisoprololo, nebivololo o metoprololo per via del miglior profilo di sicurezza fino a quando non vi è prova più convincente per sostenere la superiorità del carvedilolo nello scompenso cardiaco.
Gli Autori sottolineano poi come l'uso di inibitori muscarinici, come il tiotropio, possa prevenire la broncocostrizione dovuta ai beta-bloccanti, volendo in questo modo dire che nei pazienti più gravi, nei quali è più logico temere gli effetti collaterali da beta-bloccante essendo usualmente in terapia triplice o duplice broncodilatatrice, si possa prevenire tale broncocostrizione.
Sicuramente rimangono delle aree di insicurezza legate ai possibili effetti broncospastici, per cui si chiede che vengano compiuti comunque ulteriori studi, di tipo prospettico, al fine di valutare adeguatamente la sicurezza di questi farmaci sulla funzione polmonare (in particolare per i pazienti con ostruzione più grave) e le possibili interazioni con i broncodilatatori.
Poiché al momento non vi è sufficiente evidenza per sostenere l'uso dei beta-bloccanti per la prevenzione delle riacutizzazioni o della mortalità legata alle riacutizzazioni, gli Autori sottolineano l’esigenza di effettuare studi multicentrici di lungo termine, contro placebo, che possano confermare (o meno) i benefici visti negli studi osservazionali.
I beta-bloccanti, comunque, non sono attualmente indicati nei pazienti affetti da BPCO con sola disfunzione diastolica e, anche in questo caso, si auspicano studi clinici.
Infine, rimane irrisolta la questione chiave, ossia se i potenziali benefici dei beta-bloccanti siano limitati a quei pazienti con nota malattia cardiovascolare o siano invece presenti in una popolazione più ampia che abbia la malattia cardiovascolare silente.
Secondo gli Autori è tempo che gli pneumologi, quando trattano pazienti con BPCO, si prendano cura non solo dei polmoni, ma anche del cuore e, come dicono Rutten F.H. e coll., “la storia dei beta-bloccanti nella BPCO si trasformerebbe allora nel curioso caso di un nemico che diventa un potenziale amico per i milioni di pazienti in tutto il mondo affetti dalla malattia” (5).

Bibliografia

1 Bhatt SP, Dransfield MT. Chronic obstructive pulmonary disease and cardiovascular disease. Transl Res 2013;162:237-51.
2 Chatterjee S, Biondi-Zoccai G, Abbate A, et al. Benefits of β blockers in patients with heart failure and reduced ejection fraction: network meta-analysis. BMJ 2013;346:f55.
3 Bangalore S, Steg G, Deedwania P, et al. β-Blocker use and clinical outcomes in stable outpatients with and without coronary artery disease. JAMA 2012;308:1340-9.
4 Bavishi C, Chatterjee S, Ather S, et al. Beta-blockers in heart failure with preserved ejection fraction: a meta-analysis. Heart Fail Rev 2015;20:193-201.
5 Rutten FH, Zuithoff NP, Hak E, et al. Beta-blockers may reduce mortality and risk of exacerbations in patients with chronic obstructive. Arch Intern Med. 2010;170:880-7.